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La coalizione dei coraggiosi

19  paesi in guerra contro una famiglia: vittime, profughi, prigionieri

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Vittime

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Saif al Arab

Il  figlio di Gheddafi Sayf al-Arab è ritenuto essere fra le vittime di un bombardamento Nato del mese di Aprile.

Mutassim

Mutassin è caduto insieme al padre Muhammar Gheddafi a Sirte, dove i loro corpi esposti alla morbosità della folla di Misurata stendono un’immagine inquietante, insieme alla sanguinaria brigata combattente, su quella comunità

Khamis è caduto in battaglia a fine agosto. Molte notizie false, anche di recente, su di lui, ma il

Khamis

sito più affidabile Libia360° riferisce che la  morte è stata confermata dalla famiglia. Vi ha fatto riferimento nel messaggio diffuso dopo la morte del padre e del fratello.

Caduti sotto i bombardamenti sono anche il genero e una nipotina di Gheddafi

Profughi

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Safya Farkas, la vedova di Muhammar Gheddafi è riparata in Algeria poco dopo la caduta di Tripoli insieme a

Safya alla circoncisione di uno dei figli

Muhammad (1971), figlio di primo letto di Gheddafi,
la figlia Aishya,

Milad , la figlia adottiva (un’altra ,Hana, era deceduta nel corso del bombardamento notturno degli Usa sulla casa di Gheddafi nel 1986.)

il figlio  Hannibal  e relativi congiunti sopravvissuti;
mancano certamente il marito e la bambina di Aishya.

Il figlio Saadi è riparato in Niger con la famiglia, circostanza confermata da una intervista.

Saadi e Aisha con il padre

Prigionieri

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Sayf al-Islam  catturato, secondo le notizie,  per il tradimento della sua guida sahariana, detenuto a Zintan in attesa che si istruisca il processo contro di lui. Circostanza che tarda a misura in cui cresce il pericolo per la sua vita a causa di un processo di necrosi dei tessuti della mano ferita.

Si aggiungano altri parenti detenuti, come il cugino Ahmed Ibrahim (zio del portavoce Mussa Ibrahim) per il quale è stato lanciato un appello umanitario perché sottoposto a tortura.

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Su Aishya la coalizione si è accanita,  rendendola in poche settimane vedova, orfana, profuga. L’ha privata della sua bimba e l’ha costretta a partorire un’orfana appena varcato il confine algerino. La detenzione in Algeria è sotto condizione: tacere, non rilasciare dichiarazioni, interviste o messaggi. Nei giorni scorsi Aishya, per la seconda volta, ha infranto la regola.

Ha esercitato quello per cui, noi seguaci  di Voltaire ,
dovremmo essere pronti a morire:
il diritto di parola.

Una televisione ha trasmesso un suo messaggio audio alla popolazione libica: “rovesciate questo regime imposto dall’estero”.

Immediatamente il Consiglio nazionale di transizione ha chiesto all’Algeria il suo arresto e l’estradizione; il Ministro algerino dichiara  l’intenzione di prendere provvedimenti.

Si rendono conto, costoro, che “Aishya” non è un logo ma una persona, ricordano la tragedia che si è abbattuta su di lei, il suo diritto di esprimere le sue idee e far sentire la sua voce?

Non è una dimostrazione di forza la loro, ma di debolezza della propria posizione politica.
Se è possibile comprendere il portavoce di un paese come l’Algeria, minacciato dall’interno da AlQaeda e dall’esterno dalle pressioni internazionali, non è possibile alcuna comprensione per il CNT. La loro mossa indica anche la loro pochezza personale, la viltà di compiacere e di contare ancora sul supporto dei “coraggiosi” paesi Nato che li hanno insediati al vertice, pena un cumulo di rovine e di salme.

Qualcosa di ferino è gocciolato dalla politica internazionale fin negli interstizi della società.
Succede ancora che nasca lo sdegno alla notizia strillata in tv o nei titoli dei quotidiani di una donna aggredita per strada da una banda di balordi, ci sarà perfino chi chiederà la pena di morte, si continuerà  a commuoversi per i “casi umani”   sul piccolo schermo.
Quando una muta rabbiosa di leader internazionali, invece, scarica bombe su una manciata di persone legate da vincoli famigliari e perseguita i sopravvissuti, lo sdegno collettivo non c’è.
Non si vedono neppure le ragioni dello sdegno, come se il cuore e la mente fossero accecati.

aggiornamento 5 dicembre

Vi è stato un tentativo da parte di voci che si qualificano pro-lealiste,  ma che diffondono confusione fra le file della resistenza negando la realtà del messaggio di Aishya. Si sosteneva che non era autentico, bensì una trappola per ottenere la sua estradizione dall’Algeria;  la ragione è che nel messaggio Aishya conferma la morte del padre e dei fratelli, oltre alla prigionia di Saif.  Fatti, questi,  tuttora  negati dalle fonti pseudo-lealiste.

In questo articolo in italiano di Libyanfrepress delle interessanti considerazioni sull’impulso che le parole di Aisha hanno dato agli operativi della resistenza.

In questo articolo  di Libya360° il testo completo del suo messaggio  in inglese e in arabo