Mustafa Tamimi,  palestinese, 28 anni,
a Nabi Saleh, Territori Palestinesi Occupati,   il  nove dicembre nella  24ma ricorrenza della prima Intifada ,
manifestava contro  il Muro e l’occupazione.
Un soldato israeliano, dentro un carro armato,  ha sparato  un lacrimogeno  ad altezza d’uomo.
Mustafa è caduto colpito alla testa, è spirato il mattino il seguente. 

______nota. foto diffuse successivamente mostrano trattarsi di un mezzo militare chiuso, non un carro armato_______ved. In memoria di Mustafa Tamimi, ucciso “secondo le regole” afferma Israele _____

di Jonathan Pollak
attivista israeliano, del gruppo Anarchists against the Wall.  Qui l’articolo da  Osservatorioiraq.it    di Un Ponte per..

Mustafa Tamimi tirava pietre. In modo impenitente, e a volte senza paura. Non solo quel giorno, ma quasi ogni venerdì. Nascondeva anche il viso. Non per paura della prigione, che aveva già imparato a conoscere da vicino. Ma per preservare la sua libertà, per poter continuare a tirare pietre e resistere al furto della sua terra. Ha continuato a farlo fino al momento della sua morte.

 […]Non è stato per paura per la sua vita che il soldato gli ha  sparato e lo ha colpito. Ha infilato la canna del fucile nella porta del veicolo blindato e ha sparato con un chiaro intento. Il tiratore è un soldato.
La sua identità rimane sconosciuta e probabilmente lo sarà sempre. Forse questa è la cosa migliore. Identificarlo e punirlo servirebbe solo a nascondere i crimini di un intero sistema.

[…] Centinaia di lanciatori di pietre hanno seguito il funerale. È stato calato nella tomba e le pietre hanno coperto il suo corpo. I soldati stavano fermi all’ingresso del villaggio. Persino l’angoscia della separazione è stata intollerabile per l’esercito che ha posizionato i suoi uomini e ordinato  di sparare lacrimogeni sui partecipanti al funerale che discendevano la valle seguendo il feretro. Mentre il soldato che ha sparato a Mustafa è in libertà, sei manifestanti sono dietro le sbarre.

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di Linah Alsaafin
laureta alla  Birzeit University, West Bank, nata a Cardiff, è cresciuta in Inghilterra,
USA e Palestina. Qui il suo blog.  Qui  larticolo   da
Electronic Intifada

Linah a sinistra con Ola ,sorella di Mustafa

I soldati ridevano. Sorridevano e ci scattavano foto. Zoomavano sulle nostre facce sogghignando. Gli ho urlato: “nazisti, terroristi, parassiti, robot assassini”. Ridevano di noi  che gli urlavamo di farci passare per andare da lui, svenuto, dentro un taxi vicino alla torre di guardia.

Ci hanno minacciato per farci andare indietro. Abbiamo sventolato la bandiera con il suo sangue.  Uno di loro ha avuto la sfrontatezza di colpirla.  Abbiamo gridato, “Il suo sangue è sulle vostre mani!” Hanno risposto: ” E allora?”
Tua sorella che grida. Il tuo sangue. Le loro risate….”

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Mi ero già chiesta Come addestra i soldati Israele per renderli così? 
Presidiano i posti di blocco vessando i Palestinesi costretti ad attraversarli,  ma sicuramente applicano procedure. Esito a credere, invece,  che venga loro dato ordine di sparare ad altezza d’uomo e rendere i  lacrimogeni un’arma letale.
Paura, rabbia, vergogna trasudavano da quel carro armato mentre Mustafa alzava il braccio.
I nervi cedono quando ogni giorno ci si deve rappresentare una finta realtà e negare  quella che si ha dinanzi agli occhi.
Occupare i territori e sentirsi nel diritto di farlo.
Difendere il proprio paese e negare ad altri di averne uno.
Stare nel guscio di un blindato con mitra e giubbotti di protezione e vedere

E QUANDO SONO DEI BAMBINI?
coetanei che vengono incontro a petto nudo,
senza paura.

Come non sentirsi inferiori?
Come riuscire a restare soldati invece di diventare killer?
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A cosa serve tutto questo se non a rendere la propria e l’altrui vita un inferno?