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Sappiamo bene del Muro di Berlino, sappiamo abbastanza del Muro che Israele costruisce in Palestina, quasi nulla, invece, del Muro che il Marocco ha costruito su un territorio che non gli appartiene. 2400 km di pietre e sabbia per escludere la popolazione autoctona dei Saharawi, o Sahraouis,  da gran parte del “loro” Sahara Occidentale e dal mare.
Un Muro, ma in realtà più muri che corrono paralleli, dall’aspetto stupido quanto può esserlo un argine serpeggiante nel nulla, ma un muro letale: postazioni di 120 mila soldati marocchini, elettrificazione, 5 milioni di mine antiuomo. Perché tutto questo?

Il 1975 fu l’anno del destino per i Saharawi. La Spagna pose la parola fine al dominio coloniale sulla regione (dal 1960 una risoluzione ONU riconosceva il diritto all’indipendenza per tutti i popoli colonizzati) e la popolazione era pronta a decidere con un referendum il proprio destino. Il disimpegno spagnolo fu l’occasione attesa dal Marocco per impossessarsi di un territorio ricco di risorse minerarie e di un pescosissimo tratto di mare. Nel mese di novembre il monarca lancia la Marcia Verde: 350.000 “civili” mandati, con benefit economici, a occupare il Sahara Occidentale, dove già sono schierati per proteggerli 35.000 soldati. Da sud, similmente, si muove il governo della Mauritania, con il quale nel 1979 i rappresentanti Saharawi risolveranno la controversia, mentre il Marocco resta l’inamovibile potenza occupante i due terzi della patria dei Saharawi.

Muro Sahara vergogna Marocco
Il tracciato molteplice del Muro, costellato di mine antiuomo

L’occupazione marocchina ha molte similitudini con quella di Israele in Palestina: un Muro che spezza il territorio, arresti, persecuzioni, torture, insediamento di propri coloni su territori da cui, invece, dovrebbe sgomberare. I Saharawi hanno lottato e, a differenza della resistenza palestinese politicamente divisa, hanno nel Fronte Polisario il partito di maggioranza, il movimento combattente, il nucleo di quello che sarà l’esercito nazionale quando la RASD, Repubblica Democratica  Araba  del Sahara proclamata nel 1976 e riconosciuta da molti paesi, sarà finalmente effettiva. Se i Saharawi furono costretti a fuggire sotto le bombe, le lotte del Fronte Polisario hanno in seguito liberato una parte del territorio e nel 1991 si è giunti a un cessate il fuoco. L’Onu si è impegnata a farlo osservare istituendo la missione di osservatori MINURSO che ha il compito di creare le condizioni per indire il referendum. Già il tempo trascorso testimonia l’inutilità della missione, ma, secondo gli interessati, per bocca di Omar Zain, c’è di più: “L’ONU non protegge i civili Saharawi nei territori occupati, lascia che il nemico torturi, uccida anziani bambini donne. A che cosa serve? Quarant’anni di diplomazia marcia, corrotta.”

Campo Profughi Saharawi

 

La migrazione ha  diviso le famiglie. Ha spezzato l’unità di un popolo …. Quanti sono i Saharawi oggi? Occorrerebbe un censimento, passo indispensabile per un referendum con i crismi della regolarità, ma non è ancora stato realizzato. Oggi la popolazione vive in tre separate collocazioni.

I Campi Profughi

La comunità più numerosa vive nell’Hamada dell’Algeria, un altopiano desertico, in Campi Profughi presso Tindouf. Hanno documenti di identità algerini e un abbozzo di organizzazione: 4 province (Wilayas), 25 comuni (Dairas) e 3 scuole residenziali in un territorio che ha un raggio di circa 150 km dal centro; qui risiede la rappresentanza politica della RASD, in una località chiamata Rabuni.
Come si può vivere in una tendopoli nel deserto dipendendo per la sopravvivenza dagli aiuti internazionali, possiamo cercare di immaginarlo. Nessuno però arriverebbe da solo a immaginare che la Francia, deus ex machina dell’Africa Occidentale e Sub-sahariana, in stretta relazione con il Marocco, usi la fame come deterrente per le rivendicazioni libertarie ed eserciti pressioni sull’UNHCR, Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, e sul PAM, Programma  Alimentare Mondiale, perché siano minime le razioni alimentari distribuite. Non possibile neppure immaginarsi che l’acqua a disposizione per tutti gli usi è salmastra e che per preparare il tè occorre farla arrivare da un pozzo distante anche 50 miglia….

 

Il Territorio Liberato

E’ la striscia di deserto racchiusa fra il confine della Mauritania e il Muro della vergogna, recuperata dalla lotta del Polisario agli occupanti marocchini. Rappresenta un terzo dell’intero territorio che spetta ai Saharawi, ma è indisponibile a stanziamenti civili fino a che non verrà sminata; sono cinque milioni di mine antiuomo, soprattutto di fabbricazione italiana, ormai vietate dalla comunità internazionale con la Convenzione di Ottawa del 1997. Ogni anno muoiono o restano menomati molti nomadi Saharawi costretti a percorrerla con le mandrie di dromedari e i greggi di capre. Quand’anche fosse possibile superare queste difficoltà e costruire insediamenti, questi avrebbero vita aleatoria sotto la minaccia nemica. Nel 1991, a ridosso della firma del cessate il fuoco, il Marocco attaccò la città che ora non esiste più: Tifariti. Come Israele ha sganciato bombe sulla scuola dell’ Unrwa a Gaza, così il Marocco ha bombardato la scuola e l’ospedale appena costruiti dalle organizzazioni internazionali; case e accampamenti rasi al suolo, centinaia di vittime, nuovi profughi.
Il territorio è oggi principalmente zona militare dove risiedono, si addestrano, vigilano contro aggressioni dell’esercito marocchino i soldati del Polisario. La particolarità del territorio pianeggiante, che non offre ripari e nascondigli, ha reso necessaria la tattica militare dei tunnel sotterranei  (anche qui una somiglianza con i Palestinesi di Gaza) dove reparti di pronto intervento possono risiedere in condizioni proibitive anche per mesi. In questo territorio ha sede anche la MINURSO.
In qualche modo, l’arroganza marocchina danneggia anche la cultura mondiale rendendo indisponibile alle visite un sito di straordinaria importanza archeologica a nord di Tifariti, dove si trovano grotte con pitture rupestri: policrome scene di caccia, pastorizia, danze di uomini e donne, mani dipinte o incise nella roccia 10.000 anni fa.

 

Il Territorio Occupato

Vivere estraniati nella propria terra… una condizione psicologica gravissima, accentuata dall’impossibilità di esprimere apertamente il proprio pensiero. Vi sono due concentrazione di Saharawi nel territorio assoggettato dal Marocco, Dakhla e Al Ayoun, distanti fra loro, ma accomunati dal controllo e dalla repressione. Ancora la voce della diaspora in Italia,  Omar Zain: “I Saharawi che vivono nei territori occupati non hanno nessun diritto. Se manifestano vengono aggrediti violentemente e vengono distrutti tutti i loro beni. Ogni civile Saharawi non ha nessun diritto, deve solamente restare in silenzio. Gli studenti Saharawi sono discriminati, perché sono Saharawi, i lavoratori sono tartassati, perché sono Saharawi… Non devi assolutamente accennare alla questione e allora puoi vivere “tranquillamente”.

Si coglie nuovamente una certa somiglianza con i Palestinesi cittadini di Israele, soggetti a discriminazioni, ma qui si configura una repressione fatta di spionaggio, arresti, torture, rapimenti ed esecuzioni sommarie. Nel 2010, ad Al Ayoun, una strage: la polizia ha fatto  irruzione in un campo allestito il 19 ottobre per protestare contro il degrado delle condizioni di vita nella regione e chiedere lavoro e alloggi: 11 morti , 723 feriti e 159 dispersi. L’aggravante è l’impudenza: l’assalto è avvenuto nel giorno in cui si apriva all’Onu una sessione di negoziati fra il Marocco e il fronte Polisario. 

In questo video immagini di tutto quanto detto finora …
e la canzone dell’artista saharawi Elmoufid

La Diaspora

Tocca ai Saharawi che vivono nel mondo dar voce al loro popolo perché, scrive il quotidiano El WatanIl regime espansionista di Rabat impone un blocco politico-mediatico dei territori occupati del Sahara occidentale fin dal 1975, per far passare sotto silenzio le estorsioni contro i civili Sahraouis e il saccheggio delle loro risorse naturali. ONG, giornalisti ed organismi di difesa dei diritti umani hanno il divieto di accedere ai territori occupati”, abitualmente, infatti, reporter e attivisti vengono bloccati in aeroporto.
E’ una diaspora molto attiva che promuove iniziative e crea legami con organizzazioni territoriali, tuttavia è arduo far arrivare nelle prime pagine dei quotidiani o nei telegiornali la questione del Sahara Occidentale. Anche in rete è difficile trovare immagini che documentino, non solo i frequenti attacchi della polizia, ma perfino le grandi operazioni militari come la distruzione di Tifarit. 

Dall’invasione in poi si sono accumulati nelle sedi delle organizzazioni internazionali e dei governi (ONU, UE, Corte Penale Internazionale) centinaia di fascicoli colmi di documenti che riconoscono il diritto dei Saharawi alla loro terra. La scorsa primavera il Senato ha approvato  una mozione che chiede al Governo italiano di impegnarsi per i diritti del popolo Saharawi. Nell’ultima seduta dell’Assemblea Generale ONU molti paesi africani, Tanzania, Sud Africa, Zimbabwe, hanno inserito nei loro interventi questa piaga del Diritto Internazionale.
Non si dubita, quindi, ma come per i Palestinesi  il diritto è confinato ancora a livello teorico. La prossima scadenza internazionale è il  27 ottobre quando, si legge dal programma del Consiglio di Sicurezza, avverranno “Consultazioni sul Sahara Occidentale”.

Fa sempre una certa impressione trovare etichette neutre appiccicate su drammi collettivi.

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Nel sito Sahara Press Service (en-fr)
tutto quello che c’è da sapere
sull’odissea dei Saharawi.

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