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Che il governo “di accordo nazionale”, varato il 17 dicembre dell’anno scorso in Marocco, fosse per l’insieme dei libici una creatura aliena, imposta dall’estero attraverso l’Onu, era chiaro. L’articolo “Libia: i giochi di prestigio dell’Onu”  illustrava tutte le riserve dei rappresentanti libici, costretti a firmare il documento che lo istituiva.

Le Istituzioni in divenire/ I due Governi/
Misurata contro l’Isis/ L’Islamismo e… che cosa?

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Le Istituzioni in divenire 

 

Le nuove istituzioni previste dal documento firmato a Skhirat sono o, per meglio dire, sarebbero,
– il Parlamento, identificato con l’ HOR, Camera dei rappresentanti, insediato a Tobruk. E’ riconosciuto internazionalmente ma dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale di Tripoli, anche a seguito dell’abbandono della capitale immediatamente dopo le elezioni del giugno 2014.
– il Consiglio di Stato, SC. E’ composto dai 145 membri del Congresso Generale, GNC, ovvero il parlamento di  Tripoli auto-riconvocato dopo la migrazione a Tobruk dei nuovi eletti. 
–  il Consiglio presidenziale, PC. Si compone di nove membri scelti da Fayez al-Serraj che è a capo del Governo di Accordo Nazionale, GNA, istituito a Skhirat.

La legalità, perlomeno formale, esige l’approvazione dell’ HOR e,  detto esplicitamente o meno, anche del GNC di Tripoli. Qual è la situazione a un anno di distanza?

 I due governi 

Serraj e la sua compagine (inizialmente di 32, ridotta poi a 18) per alcuni mesi rimasero in Tunisia. In marzo, a seguito delle pressioni dell’Onu e della posizione conciliante assunta dai politici di Tripoli, il GNA potè insediarsi finalmente nella capitale.
In marzo, infatti,  il Governo di Salvezza nazionale espresso dal GNC tripolino aveva rassegnato le dimissioni, implicitamente indicando di accettare la nuova organizzazione dei poteri e il GNA.
Da Tobruk, al contrario, Il GNA ha incassato due votazioni di sfiducia, in gennaio e in agosto. 

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Ottobre: meeting Kobler e Serraj a Tripoli

Nonostante l’attivismo ONU, prima con Bernardino Leon, poi con il più energico Martin Kobler, di fatto in Libia continuano ad esistere due governi, poiché quello espresso dall’assemblea di Tobruk e guidato da Abdullah Al-Thinni non ha rassegnato le dimissioni. Osserviamo che a rigor di logica, essendo stato votato dal parlamento internazionalmente riconosciuto,  quello di Al-Thinni è l’unico governo legale, sebbene non eserciti alcuna autorità sulla Tripolitania e sulla capitale.

A Tripoli il governo di Serraj risiede sotto la protezione della Guardia Presidenziale, un corpo  militare istituito modificando il nome  di Fajr Libia, o Libya Dawn, la milizia di Misurata presente a Tripoli dopo aver avuto la meglio sulla milizia della tribù Zentan.

Misurata contro l’Isis

Di Misurata è anche il vicepresidente del Consiglio Presidenziale, Ahmed Maitiq, di Misurata è anche  Abdulrahman Sewehli, capo del Consiglio di Stato, una figura potente e rispettata, riconosciuta simbolo della rivolta del 17 febbraio 2011 contro Gheddafi, sotto il cui regime aveva patito la prigionia, senza mai tradire nella sua intera carriera politica – dicono gli abitanti – gli interessi della città. 
E’ evidente che Misurata, già grande protagonista della rivoluzione, emerge come centro di potere reale e suscita la diffidenza,  nonché i voti contrari a Serraj, da parte di Tobruk, nonostante la città abbia alcuni parlamentari eletti nell’assemblea.  

La situazione confusa delle incompiute istituzioni accresce il potere delle formazioni armate; quelle più o meno regolari  che si rifanno a città e tribù, e l’autoproclamato Esercito Nazionale libico, LNA, che al comando del generale Khalifa Haftar combatte, in accordo approssimativo con l’ HOR, i jihadisti a Bengasi  e anche l’Isis a Sirte, per lo meno nella misura necessaria a impedire allo Stato Islamico il controllo dei terminali petroliferi. 

Ma è proprio la città di Misurata a opporsi efficacemente e con grande sacrificio all’Isis e ad averne ridotto la presenza da migliaia di combattenti a poche centinaia, certo assistita in questo dai 170 raid americani in due mesi, pagando un tributo di 3000 feriti e 550 morti. 
Ora, scrive Amedeo Ricucci “l’Isis ha dovuto rinunciare alla sua “terza” capitale (dopo Raqqa e Mosul c’era, appunto, Sirte), ha già spostato il suo baricentro d’azione, se pur ridimensionandolo, verso le aree interne della Libia, dove gode per ora della protezione delle tribù più refrattarie al nuovo corso istituito in Libia con la Rivoluzione del 17 febbraio, e verso il confine con la Tunisia, nell’area di Ben Guerdane e ancora più a sud.”    

Islamismo e … che cosa?

E’ abitudine mediatica contrapporre l’islamismo a un indefinito pensiero maggioritario della popolazione. I confini dell’islamismo sono incerti, di laicismo libico non si può parlare, le lealtà si articolano attraverso le appartenenze tribali e i legami internazionali.

Per esempio, gioca a sfavore del Generale – di recente promosso, non chiaro da chi a Feldmaresciallo – Haftar la provenienza da una tribù di secondaria importanza. Forse non è estranea a questa circostanza l’avversione che intercorre fra il neo Feldmaresciallo e il Gran Mufti Sadeq al-Ghariani di Tripoli, Salafita.
Ghariani lo ha definito un nemico peggiore dell’Isis e parteggia per i radicali di Ansar al-Sharia che a Bengasi Haftar combatte.  Improbabile che il Mufti approvi l’intenzione del generale di accettare aiuti militari da chiunque, anche dalla Russia, tuttavia Ghariani alle elezioni del 2012 aveva invitato a votare per il filo americano Mahmoud Jibril. Ha sempre sostenuto la milizia di Misurata, ma si è scontrato con il maggiorente della città, il già citato Abdulrahman Sewehli.
Riporto la risposta di un cittadino di Misurata al quale ho chiesto di riassumere l’atteggiamento prevalente nella città nei confronti del Mufti ” We look to him only as a sheikh , spirit preacher , not politic”; lo ascoltano se parla di religione, non se ne curano se parla di politica, eppure Misrata è considerata una città dove prevale la tendenza islamista.

Anche il presidente dell’HOR, Agheela Saleh, e Sewehli che, ricordiamo è membro del Consiglio di Stato, si contrappongono. Mentre Sewehli inclina verso l’Islamismo, Saleh cerca di limitare o addirittura impedire l’influenza degli islamisti sulla politica libica, ma è dubbio accreditargli l’intenzione di separare la sfera politica da quella religiosa, visti i suoi buoni rapporti con l’Arabia Saudita.

Come si vede, cercare di individuare le demarcazioni politiche nell’atteggiamento verso l’Islam non conduce a processi lineari, ma a schieramenti che risentono di appartenenze tribali, di antiche inimicizie cittadine e a una mai sopita inimicizia fra la Cirenaica e la Tripolitania.
Interrogato a questo proposito il corrispondente di Misurata si esprime così “L’est odia l’ovest da prima di Gheddafi, è una sensibilità etnica. Tuttavia l’ovest ama l’est. Però l’est non ha  una linea, non ha principi, solo sempre lamentele”

Questa è la variabile umana, cui si deve aggiungere la diversa sensibilità del sud libico, dove le etnie contano ancor di più e dove antiche sono le giustificate rimostranze per il ritardo nello sviluppo. Non sembra che gli attori internazionali tengano conto  di questo fattore umano non conciliato che solo il rais Gheddafi faceva apparire un paese unito (*1). Quale fiducia possono avere gli abitanti del Fezzan in Serraj: un tripolino di famiglia filo-monarchica, primo ministro imposto dall’estero che finora, a quanto si è potuto leggere nei media, ha ottenuto solo l’assenso del Consiglio delle tribù Tuareg ?
Per quel che si può comprendere dai social media, il Fezzan guarda con favore al parlamento di Tobruk ed è dall’est libico che arrivano aiuti economici:

Mentre dalla “creatura” dell’ONU, il GNA, arrivano voli militari che sganciano ordigni

 

 

(*1) Anche un esperto osservatore come Mattia Toaldo, di European Council on Foreign Relations, nella sua ultima analisi  sulla Libia non fa cenno alcuno al sud del paese.

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