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“La critica della Tecnica è ormai una questione di coraggio civile”
Günther Anders

Anders fu il primo filosofo ad interrogarsi sulle potenzialità della tecnica nel saggio L’uomo è antiquato (*) e a dubitare della capacità umana d’immaginarne gli effetti nella vita, privata e collettiva. Sebbene deceduto a dicembre 1992, quattro mesi prima che la rete di telecomunicazioni a scopi militari diventasse di pubblico accesso, seppe preannunciare la detronizzazione dell’uomo attraverso l’affermarsi del totalitarismo morbido della Tecnica. Privo di violenza, esercitato con lusinghe, insinuante la convinzione di essere liberati,  è un totalitarismo che rende gli individui consumatori solitari, eremiti di massa, uno a fianco degli altri come pubblico passivo  o come orde sobillate da un’occulta regia. (**)
La Tecnica, intravedeva Anders, avrebbe trasformato il concetto stesso di massa in quanto attore politico. L’avrebbe espropriata delle capacità precedentemente esercitate nella Storia e instaurato fra il dominante e il dominato un senso di armonia che avrebbe ammantato il dominante di innocenza e neutralità. Oggi abbiamo constatato che lo scoppio di rivolte popolari viene facilmente riassorbito come nelle primavere arabe, e che l’insorgenza di ribellioni violente può essere facilmente sfruttata dal mondo politico come nel caso di AlQaeda e Isis. 

Ogni consumatore è un lavoratore a domicilio non stipendiato che coopera alla produzione dell’uomo di massa. 

La prima rivoluzione industriale aveva creato la massa operaia che per mezzo di macchine costruiva altre macchine, nella seconda rivoluzione essa è stata trasformata in massa di consumatori di quei prodotti alla cui fabbricazione gli operai sempre meno contribuivano.
Con l’introduzione della tecnica che rende possibile l’infinita replicabilità di un prodotto-matrice è  avvenuto un ribaltamento; la naturale sequenza dal bisogno al prodotto è stata sostituita dall’ offerta di novità che instaurano il bisogno. Ciò che i consumatori avvertono come tale è via via meno concepito individualmente, sono bisogni collettivi che creano masse accomunate dall’imprescindibile possesso di quei nuovi oggetti o dal ricorso a  quei nuovi servizi.
Il ruolo del consumatore ha assunto un carattere forzoso e quanto il singolo resiste alla trazione del progresso tecnologico altrettanto perde contatto con sfere di attività o interazione con ambiti sociali. Una inavvertita morbida costrizione rende l’attuale e globale totalitarismo diverso da quelli nazionali del secolo scorso, ma innegabilmente più pervasivo.

La conseguenza più deprecabile è sulla responsabilità. Il residuale contributo umano alla produzione impedisce di conoscere l’apporto dato al risultato finale, essendo il singolo confinato in una  frazione del processo, così che la catena delle responsabilità individuali evapora e per quanto si risalga la scala gerarchica il responsabile primo non è un individuo ma la prassi tecnologica. 

La caratteristica del presente è che il dominio della tecnica dà una capacità di inventare superiore alla capacità di prevedere i risultati del nostro fare.

Il comune utilizzatore di un apparato tecnologico, anche il più diffuso come lo smartphone o il computer, è in condizioni di inferiorità davanti alle capacità di prestazione dell’oggetto, quali la memoria e la rapidità di esecuzione. Nel momento in cui consegue lo scopo, sia il risultato di un calcolo o una traduzione o un disegno, l’oggetto domina l’utilizzatore ottundendone la volontà di apprendere e la necessità di sviluppare ingegno ed efficienza. E’ in atto una sorta di collaborazione con forze che depotenziano le umane capacità, per esempio attenzione e avvedutezza di cui è esempio sconfortante il dispositivo antiabbandono per rammentare ai genitori di non scordare il bebè a bordo dell’auto. A ben vedere, il senso di potere che l’individuo ricava dagli aggeggi tecnologici supplenti la sua attività e l’impegno si basa sostanzialmente sull’aver avuto la possibilità di comprarli.

Quando il lontano si avvicina troppo la realtà si allontana e impallidisce. Quando il fantasma diventa reale, la realtà diventa fantasma.

Sembra che Internet porti a noi il mondo, ma è soltanto una serie di simultanee rappresentazioni che crea l’illusione di conoscere il lontano mentre ciò che sta intorno diventa ovvio, scontato, trascurabile. L’importanza primaria del lontano è iniziata con l’arrivo dei telefonini; divenne normale estraniarsi dall’interlocutore in carne ed ossa e tenerlo in attesa per dialogare con un assente. Quanto l’affermarsi di tale atteggiamento influisca negativamente sulla considerazione di sé e sui rapporti interpersonali si è constatato con l’avvento dei social media.  

popolazione-digitale-2019-italia DIGITAL 2019 https://tinyurl.com/tfu3d6e

Il 59 % degli italiani frequenta i social o altri palcoscenici della rete e fa pratica di rapporti virtuali. La quantità è gratificazione che instaura autostime fondate sull’assenza delle persone reali; non di rado la consistenza dei rapporti reali necessita di esposizione in rete, così come la condivisione di  banali aneddoti del quotidiano li ammanta di eccezionalità. 

Nessuno studio ha riscontrato incremento della capacità affettiva grazie alla virtualità degli scambi, al contrario si può supporre un’accresciuta tendenza alle relazioni narcisistiche a basso rischio affettivo. In alcuni casi si mette in scena una metamorfosi personale, si recita una vita inesistente e si attraggono altri nel proprio vissuto onirico. (***)
Non sono intelletto e  cultura uno scudo efficace contro le alienazioni indotte dal web, bensì la maturità affettiva. La Psicologia Analitica insegna che la  Funzione Sentimento ben sviluppata è  indispensabile per la capacità di giudicare secondo criteri veramente personali in ogni ambito di vita e attività, inoltre essa preserva l’utente dalla credulità sotto il  bombardamento di improvvise emergenze, terrificanti orrori, manipolanti campagne di solidarietà;  altrettanto dalle truffe  e dai furti che sfruttano  software e App. Stupefacente il numero di utenti che non si cura di gestire il pur minimo spazio di controllo nella Guida dei vari Facebook, Whatsapp, Twitter, Instagram  ecc. Questo dimostra la passività e il senso di inferiorità che i social coltivano nel 45% della popolazione mondiale, tale è il dato di penetrazione del 2019 .

La comunicazione che si pratica nei social è sintetica e istintiva. Il linguaggio via via si impoverisce  con danno collettivo essendo noi capaci di pensare realmente soltanto nella misura delle parole che conosciamo. E’ una comunicazione enfatica e illogica, dove il consenso sfocia nell’adulazione, il dissenso nell’insulto, la discussione  nella distorsione delle affermazioni altrui  per confutarne sprezzantemente le tesi; nascono aggregazioni belliche virtuali e planetarie con scambio di proiettili verbali al di sopra di quelli fisicamente micidiali che colpiscono intere popolazioni. 

smartphone-famiglia-tavolaGià l’apparecchio televisivo aveva mutato l’atmosfera domestica trasformando la famiglia in un pubblico, rendendo il commento dei programmi il sostituto dei racconti intimi o la scappatoia per protrarre senza imbarazzo i silenzi. L’arrivo dei computer-tablet-smartphone ha dissolto la triangolazione: si sta insieme l’un l’altro distanti, assorti da subitanee irruzioni di estranei dalle chat.

Certamente in ambito medico gli strumenti tecnologici sono preziosi, ma si può dire lo stesso per la salute psicofisica in generale? La quotidiana velocità e molteplicità di stimoli supera le umane capacità mnemoniche, assorbe l’attenzione, distrae dal corpo, dal luogo, dal momento: non è così raro vedere un passante che s’immobilizza sulle strisce pedonali con gli occhi sullo schermo.
Eventuali tendenze paranoiche hanno acquisito un nuovo bersaglio: l’hacker; un  malfunzionamento o una propria incapacità insinua sospetti di hackeraggio per spiare segreti, rubare password, clonare carte di credito e sim. Tuttavia si ricorre fiduciosamente all’automazione dei servizi immemori dei costi sociali, un argomento che meriterebbe un serio studio delle ripercussioni sull’occupazione che però non viene fatto. Il commercio online colpisce i dettaglianti, i contatori elettronici delle energie domestiche eliminano la categoria dei controllori, l’acquisto online dei titoli di viaggio liquida le agenzie ma anche i distributori di biglietti della  metropolitana ora che è possibile pagare la tratta con lo smartphone.

Il corpo non è più percepito come esso è, ma come immagine elaborata mentalmente: è sano se così diagnostica un esame tecnologico, dà sicurezza se non causa la sindrome da selfie, altrimenti è il ricorso al chirurgo plastico. Zigomi glutei  seno  labbra da rimpolpare, pettorali da scolpire, mascelle da rendere virilmente quadrate, è un boom fra gli adolescenti, anello debole in quanto a vanità e tendenze gregarie, per i quali una  recente indagine italiana ha rilevato un significativo aumento dei livelli di cortisolo, ormone dello stress, per uso prolungato di internet.
Piaga mondiale resa evidente dall’iniziativa del Fondo Jana Partners, investitore in Apple, che ha inviato all’azienda una pubblica lettera, Letter from JANA Partners to Apple, Inc_, con la vibrante sollecitazione a proteggerne la salute a breve e lungo termine e con la richiesta di investire in ricerca collaborando con gli accademici al fine di creare nuove funzionalità di sicurezza per i bambini. (****) 

Fa molto riflettere che criticare la tecnologia entrata nella nostra quotidianità richieda “coraggio civile”, come più di mezzo secolo fa affermava Anders,  ma lo si rileva nei rapporti faccia a faccia, dove – a parte sporadiche irritazioni per temporanei malfunzionamenti – la Tecnica è creduta solo “buona”: donatrice di comodità, divertimento, facilità, arricchimento di informazione, ma ci portiamo dietro le straordinarie invenzioni del secolo scorso senza averle elaborate e integrate psicologicamente, proprio per la velocità e la svagatezza che internet ha immesso nel quotidiano. [Quattro “ictus” dell’umanità nel XX° secolo”].

Quello che era possibile prima dell’avvento della globalizzazione delle informazioni, cioè abbandonare il proprio passato, la tecnologia l’ha reso impossibile. Dati anagrafici, immagine, eventi che hanno coinvolto la persona o i famigliari sono a disposizione delle autorità e del pubblico nei meandri della rete. E’ una prigione invisibile, senza muri in cui fare breccia, ciononostante è illusione comune che la Tecnica abbia liberato l’uomo perchè la sua più subdola influenza è immergerci nell’assurdo. Come questo: scrivere un articolo di critica all’invasione tecnologica sulla tastiera di un Air Mac dopo aver completato il quadro con ricerche nel web, pubblicarlo per mezzo del wi-fi sapendo che verrà indicizzato da Google, poi visitato tramite un dispositivo tecnologico e magari anche salvato in un Cloud…

Note

(*) Günther Anders: L’uomo è antiquato. vol. I e II, Bollati Boringhieri . Prima edizione in tedesco 1980

(**) Avviene virtualmente su scala planetaria ciò che il giovane Elias Canetti constatò nelle piazze di Francoforte negli anni ’20 del secolo scorso; vedere Masse aizzate dal potere

(***) Quando l’arte si misura con la realtà può offrire impareggiabili strumenti di comprensione, come nel romanzo Quella che vi pare di Camille Laurens, trasposto in film da Safy Nabou, con Juliette Binoche, Il mio miglior profilo. A metà della storia una scena mostra il virtuale travolgere l’esistente reale: la protagonista è in auto, immedesimata nella personalità coltivata con il suo account dialoga con un altro account continuando a girare in tondo dinanzi alla scuola e i suoi ragazzi  in attesa si chiedono stupefatti: “Si ricorderà di avere dei figli?

(****) Citazione da Adolescenti e internet: Letter from JANA Partners to Apple, Inc_ ” L’adolescente americano medio che utilizza uno smartphone riceve il suo primo telefono all’età di 10 anni [7] e trascorre oltre 4,5 ore al giorno (esclusi messaggi di testo e conversazione). [8] Il 78% degli adolescenti controlla i propri telefoni almeno ogni ora e il 50% riferisce di sentirsi ‘dipendente’ dai propri telefoni. [9] Sfiderebbe il buon senso affermare che questo livello di utilizzo, da parte di bambini il cui cervello è ancora in via di sviluppo, non stia avendo almeno un certo impatto, o che il produttore di un prodotto così potente non abbia alcun ruolo da svolgere nell’aiutare i genitori ad assicurarsi che venga utilizzato in modo ottimale. […] il 94% dei genitori intervistati ha intrapreso azioni per gestire l’uso della tecnologia dei propri figli, ma è sia irrealistico sia  cattiva strategia commerciale a lungo termine chiedere ai genitori di combattere da soli questa battaglia. “