“In Tunisia tutto indica che ci stiamo muovendo verso il potere di uno”‎ Hamadi Redissi, docente politologo e scrittore

Il decennio alle spalle 

La dittatura di Ben Alì entrò in crisi nel 2007, quando la situazione economica e sociale cominciò a deteriorarsi per un errato modello economico e per l’impianto politico autoritario e predatorio. Caduto il regime nel 2011, le elezioni di ottobre portarono al potere il movimento di Rached Ghannouchi, che si mantenne primo anche nelle elezioni del 2014 e del 2019, a costo di improponibili alleanze coi partiti più nemici per formare il governo. La situazione continuò a deteriorarsi in mancanza di un diverso modello economico e perchè il nepotismo politico non venne sconfitto. Ora in Tunisia la corruzione ha assunto la gravità di una cancrena.

Lo scenario 2021

Popolazione stremata, P.I.L crollato, disoccupazione a tasso del 20 % e tra i giovani il 41%. Il gesto estremo del ventiseienne Nèfil Hefiane, morto dopo essersi dato fuoco il 2 settembre, ha riportato l’orologio tunisino al dicembre del 2010 quando Mohamed Bouazizi, anch’egli giovanissimo, gettandosi tra le fiamme denunciava lo stato di disperazione dei giovani e innescava la primavera araba tunisina.

Il “colpo” del Presidente

Il 25 luglio il Kais Saied assume improvvisamente pieni poteri  senza che ciò provochi autentiche reazioni internazionali. Il 22 settembre con il  decreto presidenziale n. 2021-117 formalizza la nuova architettura “provvisoria” delle autorità pubbliche: decisione  della politica generale dello Stato  definita dal Presidente stesso, che detiene il potere esecutivo “assistito” dal Primo Ministro che, come l’intero Gabinetto, è responsabile solo davanti alla Presidenza. Il Parlamento rimane sospeso, della  Costituzione restano validi solamente gli articoli non in contrasto con l’emanato Decreto Presidenziale.
Verticalità totale: il presidente decide, il governo esegue, la carta costituzionale è monca, l’organo eletto dai cittadini silenziato.  

Il nuovo governo

Il 29 settembre il Presidente chiama a formare il governo Néjla Bouden, ingegnere  e specializzata in geoscenze. Grande esultanza perchè è donna. Quando alle lodi per la sua straordinaria attività si aggiungeva la sottolineatura del genere femminile, Gertrude Bell, osservava è come se parlassero di un cane che cammina su due zampe.
L’11 ottobre il Presidente annuncia la lista dei membri del Governo: 24 Ministri di cui 9 sono donne. Molti provengono dal mondo accademico, circa la metà sono professori o docenti nelle università, alcuni  sono tecnocrati o hanno lavorato come dipendenti nei ministeri di cui ora sono a capo, vari avvocati, altri sono giudici. Al Ministero degli Affari Esteri, della Migrazione e dei Tunisini all’Estero va  Othman Jerandi, diplomatico di carriera sotto Ben Alì. Per il Ministero degli Interni viene recuperato Taoufik Charfeddin che l’ex premier Hichem Mechichi aveva destituito in gennaio scorso. Al Ministero dell’Economia e della pianificazione va Samir Saied, un banchiere, mentre un economista titolato come Mohamed Moez Belhassine  viene spedito al Ministero del Turismo. 

Commenti

Ikram Ben Said , attivista e membro di un gruppo consultivo ONU: Mi sono chiesta: cosa fa sì che una donna accetti una tale responsabilità sapendo che secondo lo stesso decreto 117 non avrebbe potuto nemmeno scegliere i suoi ministri? Una donna che lavorerà con un presidente aggrappato al potere senza una tabella di marcia e che comunica questioni essenziali dello Stato attraverso i post di Facebook e nemmeno in conferenza stampa? 

Da Le Monde, il corrispondente dalla Tunisia È uno strano oggetto politico, inedito, atipico, collocabile nella scatola  con l’etichetta “enigma” per mancanza di un concetto più appropriato. Se è così importante far luce su questo “fenomeno Saïed”, è perché la questione non è altro che il futuro della transizione democratica della Tunisia, un modello in pericolo dopo essere stato celebrato come un successo nel mondo arabo-musulmano. I liberali tunisini non nascondono più la loro preoccupazione per una deriva autocratica – in nome del “popolo” – ogni giorno più pronunciata. “Kaïs Saïed è in procinto di reinstallare la dittatura”, lamenta il giurista Yadh Ben Achour, ex preside della Facoltà di Scienze Giuridiche, Politiche e Sociali di Tunisi.

Mabrouk Kourchide, uomo politico indipendente, a Tunisienumerique Considerando che il presidente ha impiegato più di due mesi per costituire un governo e che quest’ultimo sarà necessariamente di durata almeno biennale, significa che lo “stato di eccezione” precedentemente decretato non finirà nelle prossime settimane. Durerà almeno due anni.

I paesi della Ue sono individualmente pressoché afoni. Affidano tatticamente timide obiezioni al presidente della Commissione di Venezia, l’ organo consultivo del Consiglio d’Europa pomposamente denominato “Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto”. I problemi della Tunisia sono gravi e la soluzione non sarà facile da trovare. Ma qualsiasi soluzione deve essere cercata nel rispetto della Costituzione, della democrazia, del diritto e dello Stato di diritto.[…] Sono del parere che il primo passo verso la ricerca di una soluzione dovrebbe essere il ripristino della democrazia rappresentativa. Le nuove elezioni dovrebbero essere tenute dal corpo elettorale sulla base di una legge elettorale riveduta. Il nuovo Parlamento dovrebbe assumere le funzioni legislative e di controllo dell’esecutivo. La Corte costituzionale dovrebbe essere creata senza indugio. Se vogliamo riformare la Costituzione, dovremo seguire la procedura prevista dal testo costituzionale.”

Corruzione ?

Per le esangui casse pubbliche recuperare i 320 milioni di $ che la famiglia di Ben Alì aveva sottratto ed esportato in Svizzera significherebbe poter disporre perlomeno di fondi per l’assistenza ai bisogni primari.  Bloccati da Berna il 19 gennaio del 2011, quest’anno avrebbero dovuto essere restituiti alla Tunisia, invece  “Dalla Tunisia non è arrivata tutta la documentazione necessaria a provare la natura illecita del deposito, né tantomeno una richiesta definitiva di restituzione.”
Per quanto sia lecito supporre pretestuosa tale dichiarazione delle Banche svizzere, altrettanto sconfortante è il sospetto di corrotte connivenze interne con il vecchio regime. Kais Saied ha fatto della lotta alla corruzione il perno del suo successo, tuttavia nell’anno del suo mandato presidenziale non risultano notizie di suoi interventi per accelerare la restituzione dei fondi.