Il 13 giugno la coalizione guidata da Naftali Bennett ha completato il suo primo anno di vita. Se proseguirà o se Israele si avvierà a nuove elezioni lo si decide in questi giorni.

Bennett è il politico che ha compiuto il miracolo di porre fine a quindici anni di ininterrotta leadership di Netanyahu mettendo d’accordo 7 partiti ebraici e la Lista Unita dei Palestinesi. A grandi linee nulla di diverso dai governi precedenti: Israele continua a bombardare la Siria e la Striscia di Gaza, nei Territori Occupati della Cisgiordania il controllo sui Palestinesi è immutato. Perfino più feroce: confrontando gli stessi mesi del 2021 il numero dei Palestinesi uccisi dalle forze militari israeliane è 5 volte superiore.

A merito  di Bennett va ascritto l’essere riuscito a far approvare il bilancio statale, obiettivo mancato dai governi Netanyahu e, nonostante il periodo pandemico, aver tenuto l’economia israeliana in buona salute; inoltre la sua conduzione è inclusiva a differenza di quella divisiva del predecessore.  Perché, dunque, la sua coalizione rischia di frantumarsi? La risposta nell’articolo The tragedy of Naftali Bennett

Bennett non è riuscito a capire che la sua leadership manca di legittimità. Ha ignorato il costo politico di un  governo sostenuto dai soli sei seggi alla Knesset che il suo partito Yamina aveva ottenuto nelle ultime elezioni. Ha ignorato il rischio di voltare le spalle ai suoi elettori e ‘colludere’ con la sinistra, così come il rischio di formare un governo che dipende da un partito arabo. Questo mette contro Bennet metà degli elettori israeliani, che per rabbia ignorano  i risultati ottenuti dal Primo Ministro.
La narrativa è più importante della strategia geopolitica o dei risultati microeconomici. Mentre sta facendo bene nel governare il paese, Bennett ha trascurato di offrire agli israeliani un’immagine migliore della sua coalizione, presentando il suo governo come una macchina tecnocratica funzionante, ma priva di visione. Qui sta un’occasione mancata.

Nelle ultime settimane è avvenuto uno stillicidio di defezioni: il 6 aprile un deputato di Yamina ha disertato  e si è unito all’opposizione, privando il governo della maggioranza alla Knesset. In maggio un deputato del partito di sinistra Meretz ha iniziato a votare con l’opposizione, come pure un membro del partito Blu e Bianco del ministro della Difesa Benny Gantz. In giugno Nir Orbach, anche lui di Yamina, ha lasciato la coalizione. Un governo che conta  meno dei  61 voti che costituiscono la maggioranza non sta in piedi. Al momento l’opposizione prevale con 58 voti e il governo arranca con 52.  

La coesione si fondava su alcuni assunti, tra cui quello di evitare per quanto possibile di toccare questioni legate agli insediamenti e i rapporti con i Palestinesi. Gran parte della debolezza è emersa circa il mantenimento in vigore del “Regolamento di emergenza – Giudea e Samaria” che dal 1967 viene rinnovato ogni cinque anni. Si tratta di un provvedimento che permette di applicare la legge civile israeliana – anziché quella militare – ai  500mila israeliani che vivono negli insediamenti in Cisgiordania.  Un modo per far andare avanti il ​​governo, secondo alcuni analisti, sarebbero le dimissioni dalla Knesset dei due  parlamentari della Lista Araba Unita  (Ra’am)  che il 6 giugno hanno votato contro la prosecuzione dell’applicazione del suddetto Regolamento.  Scacciare la componente araba riporterebbe coesione alla coalizione e questo si configura come “sporco gioco” politico.

Tentare la formazione di un nuovo governo che ottenga la maggioranza significa, con tutta probabilità, riportare in sella Netanyahu, eventualità invisa a molti.
Altra possibilità è che la maggioranza dei parlamentari voti per sciogliere la Knesset, nel qual caso, il  governo resterebbe provvisoriamente in carica fino a quando si terranno le elezioni, ma anche questa soluzione trova molti parlamentari contrari.

La settimana dal 20 giugno si annuncia cruciale. Mercoledì 22 la Knesset voterà i progetti di legge presentati dall’opposizione. Il Likud intende sottoporre il disegno di legge di scioglimento della Knesset. Se i transfughi della coalizione voteranno con l’opposizione il governo cadrà, le elezioni saranno indette per il 25 ottobre, il governo provvisorio sarà guidato, secondo il precedente accordo della coalizione, da Yair Lapid.

Sono i giorni dell’incrociarsi dei colloqui e delle opposte pressioni. Il leader di Yisrael Beytenu, Avigdor Liberman, dichiara di voler intervenire presso Nir Orbach nel tentativo di persuaderlo a non votare contro il governo così da consentirgli di sopravvivere, e sollecita tutti i capi dei partiti della coalizione a frenare i loro ribelli. 

“Andare alle elezioni ora sarebbe irresponsabile e farò tutto il possibile per prevenirlo. Un’elezione causerebbe più spaccature e reciproche recriminazioni, paralizzerebbe l’intero sistema di governo. È sbagliato dire che la speranza di salvare il governo è persa”.

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Maria Carla Canta