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da International Business Time   di Andrea Spinelli Barrile

Immigrazione: il modello israeliano
di rimpatri e reinsediamenti
produce solo disperazione

migranti-israele.“” È ad esempio la storia, raccontata da Al-Jazeera, di Musgun Gebar: quattro anni fa è partito dall’Eritrea ed ha attraversato, a piedi, il deserto del Sahara e l’altopiano del Sinai, prima di arrivare in Israele. Un viaggio lungo un mese durante il quale è stato vittima dei trafficanti, ha sofferto la fame, ha visto morire la metà delle persone che hanno viaggiato con lui. Privo di passaporto, Gebar è salito sul primo aereo della sua vita pochi giorni fa per affrontare il volo di 15 ore che separa Tel Aviv, capitale di Israele, da Entebbe, città aeroportuale dell’Uganda vicina alla capitale Kampala.

Gebar aveva con sé 3.500 dollari americani in banconote da 100 e un documento provvisorio, con lettera di accompagno, del governo israeliano: un lasciapassare che gli ha spalancato le porte dell’Uganda. Ad Al-Jazeera Gebar ha raccontato di essere stato detenuto nel campo di detenzione per immigrati chiamato Holot, nel cuore del deserto del Negev, nella parte meridionale dello Stato d’Israele. A un certo punto i funzionari israeliani del campo lo hanno messo davanti a tre diverse opzioni: restare lì, a tempo indeterminato, tornare in Eritrea, da dove era fuggito e dove, se sarebbe rientrato, avrebbe perso la vita, oppure accettare i 3.500 dollari messi a disposizione dal governo di Israele e lasciarsi trasferire in un paese terzo. Senza esitazione ha accettato la terza opzione, ma la vera questione è un’altra: Musgun Gebar ha veramente potuto scegliere?

La questione è molto controversa. Sabine Haddad, portavoce dell’autorità per l’immigrazione di Israele, afferma che Tel Aviv ha siglato un accordo con due paesi africani, senza tuttavia citare quali, per il trasferimento dei richiedenti asilo “indesiderati”: uno di questi sarebbe l’Uganda, come la storia di Gebar dimostra, e l’altro sarebbe il Ruanda. Entrambi i Paesi africani hanno negato alcun tipo di accordo e nessuno dei due ha offerto lo status di rifugiato alle persone che vengono trasferite da Israele. Secondo un portavoce del governo di Kampala, Ofwono Opondo, la voce di un accordo tra Israele e l’Uganda sui rifugiati e richiedenti asilo “è stata fatta circolare dai servizi segreti” di Tel Aviv. Le autorità ugandesi e ruandesi in realtà più che negare nicchiano, dicono e non dicono, e si capisce visto che la controparte offerta da Israele è golosa, la famosa offerta che non si può rifiutare, ma anche molto poco popolare: armi, addestramento militare e altri aiuti.

Una volta accettata la proposta del governo israeliano e portati da qualche altra parte i migranti, sopratutto provenienti dall’Africa orientale, si trovano in un limbo dal quale è difficile uscire, in perenne attesa di diventare un rifugiato ‘legale’ da qualche parte e nel frattempo, proprio in virtù di questa illegalità di forma, si trova impossibilitato a lavorare. Un problema enorme e che potrebbe ingrandirsi sempre più, se si pensa che solo dall’Eritrea ogni mese circa 5.000 persone fuggono dal regime: Israele è una delle mete più ambite, in molti credono di poter trovare delle opportunità o comunque di poter vivere una vita più semplice ma la maggior parte delle volte la loro utopia li trasferisce da un incubo all’altro, senza soluzione di continuità. Molti titoli di studio non vengono riconosciuti in Israele e medici, infermieri, insegnanti eritrei in fuga si ritrovano a pulire i pavimenti dei ristoranti di cucina shawarma di Tel Aviv o Gerusalemme: in Israele non esiste lo status di rifugiato e sono circa 42.000 i sudanesi e gli eritrei presenti in Israele come “infiltrati”.

continua

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