Mahmud Darwish,
Al Birweh 13 marzo 1941
9 agosto 2008

Innamorato dalla Palestina

I tuoi occhi sono una spina nel cuore
lacerano, ma li adoro.
Li proteggo dal vento
e li conficco nella notte e nel dolore
cosi  la sua ferita illumina le stelle,
trasforma il presente in futuro
più caro della mia anima.
Dimentico qualche tempo dopo
quando i nostri occhi si incontrano
che una volta eravamo
insieme, dietro il cancello.
Le tue parole erano una canzone
che io tentavo di cantare ancora,
ma la tribolazione si era posata
sulle fiorenti labbra.
Le tue parole come la rondine
volarono via da casa mia
volarono anche la nostra porta
e la soglia autunnale
inseguendo te,
dove si dirigono le passioni ….
I nostri specchi si sono infranti
la tristezza ha compiuto 2000 anni,
abbiamo raccolto le schegge del suono
e abbiamo imparato a piangere la patria.
La pianteremo insieme,
nel petto di una chitarra;
la suoneremo sui tetti della diaspora
alla luna sfigurata ed ai sassi.
Ma ho dimenticato,
oh tu dalla voce sconosciuta !
Ho dimenticato,
è stata la tua partenza
ad arrugginire la chitarra,
o è stato il mio silenzio ?
Ti ho vista ieri al porto
viaggiatore senza provviste … senza famiglia.
Sono corso da te come un orfano
chiedendo alla saggezza degli antenati:
perché trascinare il giardino verde
in prigione, in esilio, verso il porto
se rimane, malgrado il viaggio,
l’odore del sale e dello struggimento,
sempre verde?
Ho scritto sulla mia agenda:
amo l’arancio e odio il porto,
ho aggiunto sulla mia agenda:
al porto mi fermai
la vita aveva occhi d’inverno,
avevamo le bucce dell’arancio
e dietro di me la sabbia era infinita!
Giuro, tesserò per te
un fazzoletto di ciglia
scolpirò poesie per i tuoi occhi
con parole più dolce del miele
scriverò “sei palestinese e lo rimarrai”
Palestinesi sono i tuoi occhi,
il tuo tatuaggio
Palestinesi sono il tuo nome,
i tuoi sogni
i tuoi pensieri e il tuo fazzoletto.
Palestinesi sono i tuoi piedi,
la tua forma
le tue parole e la tua voce.
Palestinese   vivi,   palestinese   morirai.

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Si tratta di un uomo

Incatenarono la sua bocca
legarono le sue mani
alla roccia della morte
e dissero : “ sei un assassino “.
Gli tolsero il cibo, gli abiti, le bandiere
lo gettarono nella cella dei morti
e dissero : “ sei un ladro “
Lo rifiutarono in tutti i porti
portarono via la sua piccola amata
e dissero : “ sei un profugo “.
O tu, dagli occhi e le mani sanguinanti !
la notte è effimera,
né la camera dell’arresto
né gli anelli delle catene
sono permanenti.
Nerone è morto, ma Roma no,
lotta persino con gli occhi !
e i chicchi di una spiga morente
riempiranno la valle di grano.

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Carta d’identità

Scrivi :  sono un arabo;
la mia carta porta il numero cinquantamila.
Ho otto bambini,
e il nono nascerà dopo l’estate.
Ti dispiace forse ?

Scrivi : sono un arabo;
impiegato con i compagni della miseria in una cava,
ho otto bambini
per i quali dalla roccia
ricavo il pane,
i vestiti ed il quaderno.
Non chiedo la carità alle vostre porte
né mi umilio davanti alle piastrelle dei gradini.

Ti dispiace forse ?

Mio padre …viene dalla stirpe  dell’aratro
non è un figlio di signori privilegiati,
mio nonno pure era un contadino
né ben cresciuto, né ben nato !
Mi insegnava l’orgoglio del sole
prima di insegnarmi la lettura dei libri.
La mia casa è la guardiola di un custode
fatta di rame e di canna.
Sei soddisfatto della mia posizione ?
Ho un nome senza titolo !

Scrivi :  sono un arabo;
dai capelli color carbone
e dagli occhi bruni.
La mia descrizione:
un akal[3]  sulla kufiyya copre il mio capo;
e il palmo della mano duro come la roccia,
graffia chi lo oserebbe toccare.
Il mio indirizzo è :
un villaggio disarmato … dimenticato
dalle vie senza nomi.
Scrivi :  sono un arabo;
avete rubato la vigna dei miei nonni
e la terra che coltivavo
insieme ai miei figli.
Senza lasciare a noi nulla
né ai nostri nipoti …
se non queste rocce.
E’ forse vero che il vostro stato
prenderà anche queste …
come si mormorava ?

Allora !

scrivilo in cima alla prima pagina :
“non odio la gente
né aggredisco  alcuno,
ma se divento affamato
la carne dell’ usurpatore sarà il mio cibo.
Attenzione !
Guardatevi
dalla mia collera
e dalla mia fame !

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TI HO SCONFITTO, MORTE

O morte, siediti e aspetta.
Prendi un bicchiere di vino e non trattare.
Una come te non tratta con nessuno,
uno come me non si oppone alla serva dell’invisibile.
Prendi fiato… forse sei spossata da questo giorno
di guerra astrale. Chi sono io perche tu mi faccia visita?
Hai tempo di esplorare il mio poema? No. Non è affar tuo
Tu sei responsabile della parte d’argilla
dell’uomo, non delle sue opere o delle sue parole.
O morte, ti hanno sconfitta tutte le arti.
Ti hanno sconfitta i canti della Mesopotamia,
l’obelisco dell’Egizio, le tombe dei Faraoni,
le incisioni sulla pietra di un tempio ti hanno sconfitta,
hanno vinto, ed e sfuggita ai tuoi tranelli
l’eternità…
e allora fa’ di noi, fa’ di te ciò che vuoi

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Pensa agli altri

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e di’: magari fossi una candela in mezzo al buio.

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SENZA TITOLO

Potete legarmi mani e piedi
togliermi il quaderno e le sigarette
riempirmi la bocca di terra:
la poesia è sangue del mio cuore vivo
sale del mio pane, luce nei miei occhi.
Sará scritta con le unghie, lo sguardo e il ferro,
la cantero’ nella cella mia prigione,
al bagno
nella stalla
sotto la sferza
tra I ceppi
nello spasimo delle catene.
Ho dentro di me un milione di usignoli
per cantare la mia canzone di lotta.

 

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   SU QUESTA TERRA

Hanno diritto su questa terra
Hanno diritto su questa terra alla vita:
il dubbio di aprile,
il profumo del pane nell’alba,
le idee di una donna sugli uomini,
le opere di Eschilo,
il dischiudersi dell’amore, un’erba su una pietra,
madri in piedi sul filo del flauto,
la paura di ricordare negli invasori.
Hanno diritto su questa terra alla vita:
La fine di settembre,
una signora quasi quarantenne
in tutto il suo fulgore,
l’ora di sole in prigione,
nuvole che imitano uno stormo di creature,
le acclamazioni di un popolo
a coloro che sorridono alla morte,
la paura dei canti negli oppressori.
Su questa terra ha diritto alla vita,
Su questa terra, Signora alla terra,
La madre dei princìpi madre delle fini.
Si chiamava Palestina
Si chiama Palestina.
Mia signora ho diritto, ché sei mia signora,
ho diritto alla vita.

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Eternità del fico d’India.

-Dove mi porti padre?
-Verso il vento, figliolo.
 Via dal pianoro dove i soldati di
Bonaparte elevarono terrapieni
per spiare le ombre sui bastioni
vecchi di San Giovanni d’Acri.
Un padre disse al figlio: non avere
paura del fischio delle pallottole!
Aggrappati alla terra e sarai salvo.
Noi sopravviveremo,
saliremo
sui monti a settentrione, ritorneremo
quando i soldati vanno a casa,
lontano.
 – Dopo di noi chi abiterà la nostra casa,
padre?
– Rimarrà, figliolo, tale e quale noi l’abbiamo lasciata.
Tastò le chiavi come fosse il suo corpo
e si sentì sicuro.
Passando una barriera di rovi, disse:
ricorda, figliolo, qui gli Inglesi
in croce, sulle spine di un fico d’India,
per due notti intere
misero tuo padre.
Ma non parlò. Tu crescerai
e agli eredi dei fucili
racconterai di quel sangue versato sul ferro.
– Perché hai lasciato il cavallo
alla sua solitudine, padre?
– Perché dia vita alla casa, figliolo.
Le case muoiono se parte chi le abita.
 L’eternità apre le porte
da lontano ai viandanti della notte.
Ululano i lupi delle terre desolate
a una luna spaurita.
E un padre dice al figlio:
sii forte come tuo nonno,
sali con me l’ultimo poggio
delle querce, figliolo.
Ricordati: qui il giannizzero è caduto
giù dalla mula da guerra,
tieni duro con me
e ritorneremo
– Ma quando, padre?
– Fra un giorno, figlio, forse tra due.
 
Un distratto domani dietro a loro
masticava un lungo, notturno vento invernale.
I soldati di Giosuè
con le pietre della loro casa
edificavano una cittadella.
Erano ansanti sulla via di Cana.
Qui passò un giorno nostro Signore,
qui cambiò l’acqua in vino e a lungo parlò
dell’amore, ricordalo domani.
Ricorda i castelli dei crociati
annientati dall’erba d’aprile
alla partenza dei soldati.