L’arresto di Imran Khan, leader dell’opposizione parlamentare del Pakistan, è per il paese uno choc, anche per le dinamiche dell’evento.  Khan era già nel Tribunale per deporre quando appartenenti ad un’unità di corpi speciali – non le forze di polizia – inviati dal Ministro degli Interni hanno fracassato la finestra della sala, sono entrati e lanciandosi su Khan lo hanno percosso al capo, hanno spruzzato sostanze urticanti e ferito il suo avvocato.

Decine di video mostrano Khan arrivare il 9 maggio scortato dalla polizia, restare in attesa in una sala a pian terreno dell’edificio del Tribunale, poi l’assalto delle truppe speciali. La  brutalità ha spiegazione tenendo conto che in agosto scade il mandato dell’Assemblea Nazionale. Entro ottobre in Pakistan si terranno le elezioni con l’annosa contrapposizione fra il vecchio, La Lega Musulmana (N) della famiglia Sharif, e il nuovo, il Movimento per la Giustizia (PTI), fondato nel 1996 da Imran Khan.

Il mainstream parla di ultimo colpo di scena di una crisi politica durata mesi, ma ciò  è ben lontano dal vero.
La crisi è decennale e ha per epicentro l’area tribale del Waziristan, provincia ai confini con l’Afghanistan che vede tuttora attive varie presenze terroristiche. Qui era forte la presenza dei Talebani e di Al Qaeda cui davano la caccia  gli Stati Uniti fin dal tempo di George W. Bush utilizzando i droni. Si potrebbe meglio dire che facevano pratica: report di giornalisti investigativi (nota*) parlavano fino al 2014 di quasi 3000 vittime di cui solo il 4% era certamente coinvolto nel terrorismo, il 96% dei morti erano cittadini estranei, donne e bambini.

Contro questa collaborazione del governo  pakistano con gli Stati Uniti Khan lottava dal 2012: con la carovana di protesta dalla capitale fin nel Sud Waziristan e nell’agosto 2014  con la marcia da Lahore a Islamabad contro il governo di Nawaz Sharif, Primo Ministro quasi ininterrottamente dal 1990.  Nel 2017 la corruzione di Nawaz, documentata nei Panama Papers, non potè più passare sotto silenzio, venne destituito, accusato, arrestato e prontamente lasciato espatriare “per cure mediche” in Gran Bretagna dove, a termini del rilascio scaduti, rimane tuttora.
A sostituirlo come Primo Ministro ora è il fratello Shehbaz, dal 2022 quando orchestrando una crisi parlamentare Imran Khan, vincitore delle elezioni del 2018,  venne sfiduciato  ed esautorato,  il 10 aprile. Evidente soddisfazione degli Stati Uniti. Dal Washington Post “Il primo ministro pakistano non avrebbe potuto scegliere momento peggiore per fare amicizia con Vladimir Putin”. Khan, infatti, aveva incontrato Putin a Mosca allo scoppio del conflitto in Ucraina. Bad timing, riconobbe poi.

Da quel 10 aprile 2022 sono accadute varie cose:
25-26 maggio: Khan guida la “lunga marcia” verso Islamabad, protesta poi interrotta per evitare il confronto. 18 luglio: il suo partito conquista la provincia del Punjab in  elezioni suppletive. 22 agosto: Khan è accusato di aver violato una legge “antiterrorismo”, accuse successivamente ritirate. 21 ottobre: la Commissione Elettorale pakistana squalifica Khan dalla candidatura a cariche pubbliche per cinque anni. 28 ottobre: Khan lancia la sua seconda “lunga marcia” da Lahore a Islamabad per imporre elezioni anticipate.  3 novembre: Khan ferito da colpi d’arma da fuoco durante un comizio della “lunga marcia” a Wazirabad, morte 6 persone.

La rabbia popolare sta scatenando violente manifestazioni, con attacchi a edifici statali, causando almeno un morto e decine di feriti. Le autorità invitano alla calma, dichiarano non trattarsi di un vero arresto e comminano 8 giorni di fermo, ma  i supporter definiscono la detenzione un rapimento; Twitter è stato chiuso, l’accesso a internet ristretto.
Commento della Casa Bianca: “Siamo a conoscenza dell’arresto dell’ex primo ministro pakistano Imran Khan. Come abbiamo detto in precedenza, gli Stati Uniti non hanno una posizione su un candidato o partito politico rispetto a un altro”.
Per chi conosce gli antefatti, la dichiarazione è beffarda.

Maria Carla Canta

Nota* L’articolo citato “Strage di Peshawar, droni e Talebani” pubblicato nel 2014 ora è privato dei riferimenti: i link ad articoli del Bureau of Investigative Journalism e i video non funzionano più. Si sta cercando di cancellare il passato di lotta di Imran Khan e “ripulire” la famiglia Sharif protetta dagli stati Uniti