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  1. IS (ISIS) usa il terrorismo, ma non è solo un gruppo terrorista.

  2. Secondo la Convenzione di Montevideo, IS possiede i 4 requisiti che definiscono lo stato?

  3. L’articolo Paradigm Shift di John Cantlie in Dabiq8 mira a soddisfare il quarto requisito fissato dalla Convenzione?

1. L’Islamic State usa il terrorismo, ma non è solo un gruppo terrorista  Foreign Affairs

La visione che l’opinione pubblica internazionale ha dell’IS è la stessa che l’organizzazione diffonde di sé attraverso la propaganda, in consonanza con la definizione che ne diede Obama nel discorso televisivo dello scorso settembre. il Presidente, esponendo il suo piano per “indebolire e distruggere” l’ISIS, la definì nient’altro che “un’organizzazione terroristica, pura e semplice.” La sfida lanciata all’Occidente venne considerata come un’evoluzione di AlQaeda e affrontata con le stesse procedure. Foreign Policy, che fin dal titolo dell’articolo dichiara Isis is not a terrorist group, scrive: è stato un errore.

Non è AlQaeda. Non è una conseguenza o una parte della vecchia organizzazione radicale islamista, né rappresenta la fase successiva nella sua evoluzione. Anche se AlQaeda rimane pericolosa, in particolare gli affiliati in Nord Africa e Yemen, ISIS è il suo successore: rappresenta la minaccia jihadista post-AlQaeda. […] anche se usa il terrorismo come tattica, non è affatto un’organizzazione terroristica. Le reti del terrorismo, come al Qaeda, contano su decine o centinaia di membri, attaccano i civili, non hanno un territorio e non possono confrontarsi direttamente forze militari. ISIS, invece, vanta approssimativamente 30.000 combattenti, detiene un territorio, in Iraq e in Siria, dimostra ampie capacità militari, controlla linee di comunicazione, governa infrastrutture, si autofinanzia e si impegna in sofisticate operazioni militari. Se ISIS è puramente e semplicemente qualcosa, è uno pseudo-Stato guidato da un esercito convenzionale.”

Dalla sua nascita l’organizzazione è cresciuta  cambiando, o rendendo chiari, i suoi obiettivi.  Mentre Bin Laden convepiva AlQaeda come avanguardia di una rivolta globale mobilitante le comunità musulmane contro il dominio secolare, IS cerca il controllo del territorio e vi impone leggi, vuole  cancellare i confini politici del Medio Oriente creati dalle potenze occidentali nel XX° secolo e posizionarsi come l’unica autorità politica, religiosa e militare su tutti i musulmani del mondo.

In Paradigm Shift John Cantlie introduce le dichiarazioni sulle capacità dell’organizzazione da parte di esponenti politici e militari,  riportando estesamente quella di Chuck Hagel, dimessosi da Segretario alla Difesa per divergenze strategiche con Obama:

“Non abbiamo mai visto un’organizzazione come ISIS, così ben organizzata, così ben addestrata, così ben finanziata, così strategica, così brutale, così completamente spietata. Mai visto niente di simile in un’altra formazione. Inoltre, coniuga ideologia … e social media, il suo programma verso i social media è sofisticato a un livello mai riscontrato in precedenza. Fondere  tutto questo insieme rappresenta una nuova minaccia, incredibilmente potente “.

Attentati terroristici come quelli di Parigi e di Tunisi rivendicati dallo Stato Islamico, paradossalmente puntellano la dichiarazione di Obama. Per quanto tempo? In Dabiq8, IS introduce velatamente una mossa diplomatica per uscire dal “solo terrorismo”

2. IS possiede i 4 requisiti indicati all’Articolo 1 della Convenzione di Montevideo per essere considerata uno stato? Trattato Montevideo 1933

Uno stato può venire in essere in vari modi, anche a seguito di una insurrezione di gruppi locali e conseguente  conflitto armato; fu il caso delle tredici colonie americane che ottennero l’indipendenza diventando gli Stati Uniti d’America. Sui requisiti per essere classificati come stato, dal 1933 c’è il consenso internazionale sul paradigma della Convenzione di Montevideo. Abbastanza presto dopo che Abu Bakr Al-Baghdadi ha proclamato lo Stato Islamico, il 29 giugno del 2014, studiosi ed esperti di legislazione internazionale hanno iniziato a interrogarsi se lo Stato Islamico questi requisiti li possiede.
E’ avvenuto nelle Università, come in Israele e  in Danimarca, nei think  tank, come  l’ Atlantic Council’s Rafik Hariri Center for the Middle East, probabilmente il primo, lo scorso agosto con l’articolo We Must Treat ISIS Like a State to Defeat It . L’analista Fajsal Itani dell’ Atlantic Council sostiene che affrontandolo “come se” fosse uno stato – sfruttandone le vulnerabilità per quanto riguarda la produzione di servizi alla popolazione, per esempio – lo si costringerebbe a mantenere gli impegni presi al momento della dichiarazione, i fallimenti limiterebbero l’immagine vincente  incoraggiando così le opposizioni e le sollevazioni popolari al suo interno.
Solo qualche grande media ha lasciato filtrare queste analisi, come la BBC in Islamic State and the idea of statehood, ma in sostanza il pubblico rimane nel solco dell’idea obamiana che IS sia “niente altro che” un gruppo di brutali tagliagole.

Secondo la Convenzione di Montevideo,
i requisiti fondanti di uno stato sono
a) una popolazione permanente
b) un territorio definito
c) un governo
d) la capacità entrare in relazione con altri stati. 

 .a) Nello Stato islamico vi è la popolazione residente dei territori Siria e Iraq conquistati dal Califfo. Nel nucleo centrale le persone non sono trattate come prigionieri, ma come cittadini,  similmente a quanto accadeva e accade tuttora in stati, internazionalmente riconosciuti, governati da un regime totalitario.  

Mosul
Mosul

Un indiretto riconoscimento di questa condizione di cittadinanza è venuto, ad esempio, quando la Gran Bretagna si è interrogata sulla possibilità di accusare di tradimento i britannici emigrati verso lo Stato Islamico.
Poiché alla popolazione residente nel nucleo centrale si aggiungono quelle delle zone dove milizie affiliate hanno preso il controllo, lo Stato Islamico nel suo complesso potrebbe diventare un vero “arcipelago di province”qualora esse, le wilāyāt, fossero in grado di condursi amministrativamente ed economicamente secondo le direttive della capitale Raqqa.

.b) Se pensiamo all’Italia, il requisito “territorio definito” è lampante, ma per Israele? E’ considerato uno stato, sebbene i confini attuali non siano internazionalmente riconosciuti.  L’Articolo 11 della Convenzione recita infatti “Gli Stati contraenti stabiliscono definitivamente come regola di condotta l’obbligo preciso di non riconoscere acquisizioni territoriali o vantaggi particolari ottenuti con la forza, sia che consista nell’impiego di armi, in pericolo per le rappresentanze diplomatiche o in qualsiasi altra effettiva misura coercitiva.” Nessuna acquisizione di territorio attraverso conflitti armati è ammessa, pertanto Israele e lo Stato Islamico sono parimenti in difetto?
La norma potrebbe essere intesa come
territorio definito in quanto effettivamente controllato dal governo? In tal caso, che dire dello Stato del Vaticano che non possiede esercito in grado di difendere i suoi riconosciuti confini? Sarebbero ancora “stati” la Siria, la Libia, il Mali e via elencando paesi in cui il Governo non ha controllo su larga parte del territorio che gli era stato, e ancora è, internazionalmente riconosciuto?

.c) Questo punto, l’esistenza di un governo, non pone dubbi: lo Stato Islamico possiede una struttura politica, amministrativa, militare che esercita le proprie funzioni in modo strutturato.

Alla dirigenza è il Consiglio dell’Emirato composto di tre persone, e ad Abu Bakr al Baghdadi risalgono tutte le decisioni strategiche e l’approvazione dei provvedimenti locali.
Subalterni al Consiglio dell’Emirato sono i 12 Governatori delle wilayat dello Stato, ai quali rispondono 9 figure che reggono altrettante divisioni amministrative: Religione, Esercito, Sicurezza dei confini, Giustizia, Recrutamento  jihadisti, Media, Servizi Segreti, Finanze.

Documento Identità rilasciato da Stato Islamico IS
Documento Identità rilasciato da IS

Lo Stato Islamico vara leggi, impone e raccoglie tributi, eroga servizi, organizza il corpo di polizia e le misure per l’ordine pubblico, celebra processi e commina pene, rilascia documenti di identità e passaporti. Non ancora chiaro quanto sia realizzata a livello pratico l’intenzione di battere moneta: il dinaro in oro.
Molte delle attività finanziarie dell’IS sono chiaramente criminali: furti nelle banche dei territori conquistati, commercio di reperti antichi (che però viene negato, dichiarando concrete o minacciate distruzioni), richieste di riscatto per ostaggi, tuttavia la convenzione di Montevideo non si addentra nella legalità o meno delle attività di uno stato.

.d)  Questo è il requisito in cui più che la natura dello stato entra in questione la visione che ne ha la comunità internazionale, disposta o meno ad “intrattenere relazioni” con l’entità che così vuole essere considerata. Non si confonda questo con il riconoscimento ufficiale, di cui si occupa l’Articolo 6 della Convenzione “Il riconoscimento di uno Stato significa semplicemente che lo stato che effettua il riconoscimento accetta la personalità (ndr: giuridica) dell’altro con tutti i diritti e i doveri stabiliti dal diritto internazionale. Il riconoscimento è incondizionato e irrevocabile.”  Con L’Autorità Palestinese, per esempio, intrattengono rapporti anche gli stati che non hanno ufficialmente riconosciuto Lo Stato di Palestina.
Per combattere l’IS senza violare palesemente le leggi internazionali, gli USA e gli stati coalizzati devono continuare a dipingerlo come niente altro che un gruppo terrorista, tocca al Califfo, pertanto, dimostrare che lo Stato Islamico avrebbe capacità di intrattenere relazioni internazionali.

3.L’articolo Paradigm Shift di John Cantlie cerca di soddisfare il quarto requisito della Convenzione? articolo

Alla lettera, queste osservazioni nell’articolo sembrano aggiungere la trattativa all’azione bellica.

“A un certo momento si dovrà affrontare lo Stato Islamico come un “paese” e perfino prendere in considerazione una tregua. Se non c’è soluzione militare, e questo viene già posto come possibilità, […]ad un certo punto l’unica opzione rimasta sarà offrire una tregua. E questo richiederà che qualcuno ingoi il suo orgoglio. Quale alternativa? Lanciare un bombardamento su una mezza dozzina di nazioni? Sarà distruggere metà della regione in quel caso”. […]
E’ realistica una tregua? In questo momento, è troppo presto. E’ stata allestita la scenografia per una grande operazione contro lo Stato islamico che deve essere messa in atto dalle milizie iraniane (AKA l’esercito iracheno) sostenute dagli Stati Uniti” .

Sui media la reazione a Paradigm Shift è unanime: IS chiede tregua perchè è in difficoltà sul terreno. A riprova vengono ricordate le due sconfitte ampiamente cavalcate dai media, Kobane e Tikrit, ma taciute le avanzate in altre zone. E’ indubbio che per far funzionare lo stato e prevenire rivolte interne, la dirigenza IS necessita di un rallentamento delle operazioni sul campo, ma sono proprio le necessità concrete che sempre spingono i contendenti verso la diplomazia.
L’allusione a una tregua necessaria incontra, alla lettera, l’Articolo 10 della Convenzione di Montevideo “Interesse primario degli Stati è la conservazione della pace. Differenze di qualsiasi natura che sorgono tra loro dovrebbero essere risolte con metodi pacifici .”  Nella prospettiva di una lunga guerra, come prefigura Obama, potrebbe diventare progressivamente difficile attenersi alla sola risposta militare.

Impensabili, certamente, i contatti diretti, meno impensabili i sondaggi attraverso organismi internazionali, almeno per limitati ambiti di discussione. Esistono pur sempre diplomazie di basso profilo: organismi internazionali non legati all’Onu. Un esempio è l’UNPO – Organizzazione delle Nazioni e dei Popoli non rappresentati, creata nel 1991 per volontà dei membri, le entità più varie per natura e orientamento politico: dalle popolazioni indigene a quelle di territori non riconosciuti o occupati.

Mentre gli scontri si susseguiranno, giocheranno un ruolo importante le province distaccate, quanto più stringeranno effettivi rapporti con la capitale Raqqa, quanto più numerose diverranno e destabilizzeranno altri paesi, minacciando un allargamento dello scontro con i paesi occidentali, oltre a un aggravamento dei conflitti intra-islamici. L’articolo  Le province del Califfato, Geografia politica di un gruppo che vuole diventare Stato  chiarisce la, pur sempre mutevole, dislocazione delle provincie fuori dalla Siria e dall’Iraq. 

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Questo articolo segue da:

Lo Stato Islamico, Dabiq8, gli analisti e John Cantlie

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