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In Africa si va per varie ragioni, c’è il turista dell’elegante resort e il dipendente di aziende straniere, c’è il mercenario combattente e il bodygard del magnate, come si è visto in altra occasione. Altri, invece, raggiungono il continente con il solo scopo di portare aiuto. Sono volontari che talvolta ritornano anno dopo anno.  Mal d’Africa? Forse un po’, ma soprattutto volontà di lasciare un segno che migliori la realtà quotidiana delle popolazioni.

Mario Bessone è uno di questi volontari che da una valle del Piemonte ogni anno scende fino al Mali, a sud e quasi al confine con il Burkina Faso. Perché va là, dove fino a metà dell’ 800 esisteva un impero, l’Impero dei Bambara guerrieri, cacciatori, agricoltori e costruttori di città? 

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M.B. Nel villaggio di Karangasso, e altri vicini, tutti nella zona della città di Koutiala, ho attrezzato dei pozzi profondi con delle pompe funzionanti grazie ai pannelli solari, per portare acqua alle fontane nel villaggio. Per gli scavi si sono impegnati i locali con mezzi manuali, alla trivellazione dei pozzi ha provveduto un cinese. Lui non parlava né il francese né il bambarà, ma riusciva a farsi capire lo stesso. Purtroppo i pozzi richiedono una manutenzione costante e spesso si devono sostituire le componenti elettroniche danneggiate dai fulmini. Un uomo del villaggio che negli anni ha lavorato con noi  ora è in grado di intervenire, è un autodidatta che non si scoraggia di fronte allo schema di un circuito elettronico! Il  costo dei ricambi è alto per le possibilità del villaggio, nonostante gli abitanti si sottopongano a una  piccola autotassazione. Mi sono occupato anche di un mulino mosso da un motore diesel. Ha alleggerito la fatica delle donne, altrimenti costrette a ore di pilatura del miglio nei mortai. 

Mario fa parte dell’ONLUS “Granello di Senape”  [link] che si occupa di scuola, di sanità, specialmente per i bambini, e organizza adozioni a distanza. 

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MB.Nelle scuole pubbliche elementari, dalla prima alla sesta, le classi possono arrivare a contare fino a 80 bambini e si paga una retta, anche se inferiore a quella della scuola privata cattolica, dove la situazione è certamente migliore.
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Il corredo di ogni scolaro è molto semplice: lavagnetta, quaderno e, ma non per tutti, un libro. Meno della metà dei bambini del villaggio frequenta la scuola ed è il capofamiglia a scegliere quali figli diverranno scolari.
Nella stagione delle piogge, da maggio a settembre, i più piccoli spesso restano senza sorveglianza, per cui sarebbe molto utile una scuola materna che si prenda cura di loro da quando scendono dalla schiena della mamma fino a quando riusciranno a sviluppare un minimo di autonomia. 

L’articolo Donne sul sentiero che porta al torrente  raccontava degli usi  semplici, ingenui e genuini insieme, che mantengono la coesione sociale attraverso la solidarietà delle donne, ma ci sono altri aspetti della vita quotidiana di un villaggio africano che rimangono immutati, nonostante lo scorrere del tempo e i mutamenti della storia. 

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M.B. La vita nel villaggio è centrata sulle attività agricole che assorbono tutte le energie disponibili, umane ed anche animali, degli asini e dei bovini. La popolazione si nutre quotidianamente di una polentina di miglio, il “tò”,  condita con sughi  di erbe o foglie raccolte nella savana. miglio-fascina
Li cucinano  con  l’olio di karité, che ha un odore e un sapore ai quali è per noi  difficile abituarsi; a volte integrano il tò con magri pezzetti di pollo o maiale. Nelle occasioni speciali il piatto forte è il riso, bollito e condito con salse varie; quella fatta con foglie di baobab ha un colore e un aspetto che per noi può perfino essere ripugnante. Si vedono nel villaggio bambini con la pancia gonfia a causa della cattiva e insufficiente nutrizione.
Le case sono capanne  in  mattoni di fango essiccati al sole, hanno  tetti in lamiera, per quelli che possono permetterselo, oppure di canne di miglio.  L’abitazione principale è una stanza quadrata che serve solo per dormire, la vita si svolge all’esterno. Si dorme su stuoie o su letti che non sono altro che pezzi di legno tra loro legati per sollevare di poco il corpo dal suolo. Per riscaldare la capanna, d’inverno fra queste stuoie vengono disposti  bracieri e può succedere che durante il sonno qualcuno allunghi il braccio e si ustioni gravemente.
Se un uomo ha più mogli, ognuna ha diritto alla propria capanna che di solito è a forma cilindrica con tetto di canne. La stessa forma dei granai dove viene stipato il miglio; sono  sollevati da terra per evitare infiltrazioni di acqua e per tenere lontano gli di animali, ma quando le piogge sono troppo abbondanti molti di questi edifici si trasformano  in un mucchietto di fango.

Non c’è luogo al mondo dove non abiti anche la credenza nella Divinità, e, fino a quando non vi sono intromissioni esterne, non crea inimicizia il pregare in una chiesa, in una moschea o … dinanzi a un albero, come forse fanno questi nomadi Peul.

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M.B. A Karangasso  i cattolici sono più numerosi che altrove in Mali perché quella zona è stata la prima in cui sono arrivati i missionari bianchi all’inizio degli anni trenta, comunque la maggioranza segue l’Islam. Tra cattolici e musulmani  a Karangasso c’era una buona armonia, e ci accoglievano bene. Ogni anno all’arrivo l’Iman ci mandava un pollo in segno di gratitudine, ma negli ultimi tre o quattro anni c’è stato un rafforzamento della religione musulmana.
Tuttavia il monoteismo non ha cancellato le credenze antiche. La quasi totalità degli abitanti è animista, assegna valore trascendente ad oggetti-simbolo come maschere o luoghi particolari. Una di queste maschere è chiamata comò e di tanto in tanto viene portata  in processione nel villaggio da uomini dedicati a questo rituale che si annunciano con il suono lugubre di un corno. Appena sentono  questo suono le donne tornano alle loro capanne, perché la credenza vuole che, se la donna guarda il comò, sarà destinata a morire.

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Un anno mi è capitato di assistere, dopo aver chiesto autorizzazione, alle esequie del sacerdote della divinità del fuoco.  Immagina un grande falò di canne di miglio e dei giovani a torso nudo con in mano una fascina di canne in fiamme che ballano al ritmo ossessivo dei tamburi. Ormai  in trance, per il ritmo o forse anche per il dolò, la birra di miglio, d’un tratto buttano la fiaccola in terra e si rotolano sopra incuranti delle bruciature.
Li vedevo muoversi freneticamente, agitando la fascina in fiamme, venivano verso di noi, poi si avvicinavano alla salma fingendo di incendiare il tappeto sul quale era stesa per purificarla dalle colpe,  e poi interrarla prima dell’alba in una fossa molto profonda.
Le credenze superstiziose a volte creano situazioni per noi  assurde. Mi hanno raccontato che in occasione delle elezioni per la carica di sindaco un candidato si è rivolto allo stregone, il quale dà consigli stravaganti, per esempio cucire la bocca dell’asino o interrare una pecora fino al collo … questo allo scopo di nuocere alle fortune dell’avversario. 

***

Quale impressione ricaviamo noi da questo vivere? Riusciamo davvero a sentirlo solamente estraneo? O si avverte un’indefinibile sensazione, forse un pò somigliante alla nostalgia? Mama Africa

Let them know are missing out
Mama Africa
Has so much love to share
Sweet blackness, oneness
Meet me there
So much love to give
Let them know they missing out
Fate loro sapere che stanno perdendo
Mama Africa
Ha così tanto amore da condividere
Dolce necessita, unicità
Incontrami lì
Così tanto amore da dare
Fate loro sapere che  stanno perdendo

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