La Cisgiordania cambia. Una generazione cresciuta sotto l’Occupazione e l’apartheid si nutre dei ricordi della Resistenza a Jenin, Nablus e Hebron, è stanca delle divisioni tra fazioni e regioni. Nascono gruppi combattivi e il Lions’ Den è quello che attira più ampio consenso.

I giovani palestinesi sono spinti dall’insofferenza per l’oppressione militare, le ripetute incursioni nelle città, gli omicidi, le violazioni della moschea di Al-Aqsa, li spinge anche la sfiducia verso la leadership dell’Autorità Palestinese che giudicano inadeguata e immobile. Nel 2022 ogni giorno decine di arresti, una catena di vittime da Shireen Abu Akleh a Uday Tamimi, le impunite violenze dei coloni, talvolta individualmente appoggiate dagli stessi soldati. L’assedio delle forze di occupazione nei campi profughi di Shuafat, Anata e Dahiyat al-Salam è una punizione collettiva contro i residenti.
“Stiamo parlando di 150 mila persone senza un ospedale o un’ambulanza, i malati non possono avere cure di emergenza” ha detto a The Media Line il leader di Fatah Rafaat Elyan.
Un comandante israeliano racconta  “Quando entriamo a Jenin, combattenti armati e lanciatori di pietre ci aspettano in ogni angolo. Tutti prendono parte. Guardi un vecchio… e ti chiedi, lancerà pietre? E lo fa. Una volta, ho visto una persona che non aveva nulla da lanciarci contro, si è precipitato alla macchina, ha preso un cartone del latte e ce lo ha lanciato addosso”.

Queste le radici della ribellione che dall’estate prende vita con la nascita di un gruppo di resistenza che sta attirando la preoccupata attenzione sia dell’Autorità Palestinese che di Israele. I Lions’ Den: Fossa dei Leoni. Ha sede nella Città Vecchia di Nablus, è  nato dopo l’uccisione  in agosto di Ibrahim al-Nabulsi, figura di spicco dell’attivismo locale. Il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha affermato che la Fossa dei Leoni è un “gruppo di 30 membri” che alla fine saranno raggiunti ed eliminati; “Metteremo le mani sui terroristi” ha promesso, ma non sembra impresa facile perché sulla scia  del gruppo altri se ne stanno formando, il più recente è il Falcons’ Nest di Tulkarem.

I gruppi armati palestinesi sono molti – l’elenco è qui  – di diverso orientamento: alcuni professano la jihad, altri si concentrano contro il Sionismo. La novità è che si uniscono, come le brigate al Qassam, nate a Gaza ma operanti anche in Cisgiordania, che insieme alle Brigate Martiri di Al Aqsa hanno formato il Battaglione Jenin.  

Obiettivi dichiarati dai Lions’Den: resistere per conto d’ogni uomo indifferentemente dalla fazione cui appartiene;  cambiare in “dare la caccia alle forze israeliane” quello che era un restare nascosti, cacciare i coloni ovunque essi siano e far rivivere uno spirito di Resistenza nei cuori palestinesi.  Non risulta che professino la jihad; su un account twitter che li supporta si rivendica infatti  “Anche l’unità di musulmani e cristiani in Palestina suscita timore reverenziale.”
L’inedita unione in  gruppi multifazione, per la prima volta sono insieme combattenti di Hamas, Fatah e altri, spiega l’entusiasmo popolare e la mancanza di diffidenza per i nuovi combattenti tra i Palestinesi comuni.
Questa nuova Resistenza si avvale anche della tecnologia, in un video di Twitter si vede un combattente azionare un drone verso un’unità di fanteria israeliana:  “Ti vediamo e ti ascoltiamo sotto ogni albero e su ogni collina. Siamo un passo avanti a te, a Dio piacendo”. Telegram ha respinto la richiesta israeliana di bloccare il canale dei Lions’Den, affermando che una tale misura sarebbe una violazione della libertà di espressione.

Il Jerusalem Post  ha titolato  “The Lions’ Den e altri gruppi palestinesi sono un mal di testa senza fine per Israele e PA”. È vero che governo israeliano e AP sono ugualmente preoccupati per la prospettiva che la rivolta armata in Cisgiordania si estenda ed entrambi riconoscono che la Fossa dei Leoni è al centro di questo movimento giovanile. Se questo fenomeno continua a crescere, potrebbe minacciare l’esistenza stessa dell’Autorità Palestinese, causando a Israele la scelta più difficile dall’invasione delle principali città palestinesi in Cisgiordania nel 2002. 

Ciò coincide con un periodo politicamente teso per Israele nuovamente alle urne in novembre.  L’ex capo dello Shin Bet Yuval Diskin con il quotidiano Ynet non usa mezze parole: “Israele è sull’orlo del baratro” e richiama ad essere consapevoli della gravità della situazione:
“Un accumulo di problemi strategici esterni e interni pone per la terza volta lo Stato di Israele di fronte a una minaccia esistenziale,  è sul punto di scivolare in una serie di violenti conflitti interni, che potrebbero portare alla disintegrazione interna, e forse anche a una guerra civile. La leadership è stata per lo più cieca ed egocentrica per più di un decennio, il pubblico è diviso e indifferente, mentre la minaccia esistenziale sta peggiorando. […] Non sono mai stato così preoccupato come adesso. Diverse ideologie e disaccordi sono sempre esistite e sono necessarie. Tuttavia, nel secondo e nel terzo decennio degli anni 2000, l’ideologia è scomparsa quasi del tutto dalla politica israeliana e il suo posto è stato preso dall’odio alimentato da interessi costituiti” 

Palestinesi e Israeliani sono al punto Atene piange, Sparta non ride,   la tragedia è che il supporto internazionale acritico di cui gode il governo israeliano inchioda la classe politica ad errori del passato, errori degli anni ’40 dei capi ebrei e dei governi arabi, ma non si può dimenticare che è sulla vita dei Palestinesi che grava il peso, il dolore, l’umiliazione, la violenza quotidiana e l’impossibilità di progettare un futuro che non sia l’emigrazione. Tutto ciò nella cecità complice dell’Onu, degli Stati Uniti e dell’Europa.

Maria Carla Canta