Mentre Israele attende il ritorno di Netanyahu, Naftali Bennett racconta al NYT difficoltà e successi del suo governo nato nel giugno 2021  e rimasto in vita fino alle elezioni di novembre 2022.

Raramente a chi perde si riserva l’onore delle armi, così, dopo la sconfitta elettorale, Naftali Bennett incassa l’accusa di aver favorito il successo elettorale dell’estrema destra. “La Knesset è ora piena di estremisti religiosi e radicali di destra” scrive il Jerusalem Post, attribuendo questa deriva estremista all’aver, Bennett, formato un governo oltrepassando i confini politici di Yamina, partito di destra da lui fondato, per associarsi con il centro-sinistra e con R’aam, la lista degli arabi-israeliani.
Il 21 novembre con un suo articolo sul New York Times, dal titolo A Good-Will Government Was Possible in Israel, Bennett risponde esponendo le ragioni di quella non facile  decisione.

Israele era in uno dei suoi momenti più bassi, polarizzato e paralizzato: quattro tornate elettorali in due anni, massicce rivolte in città arabe e miste, uccisioni di ebrei israeliani e arabi israeliani, oltre a centinaia di feriti. […] Abbiamo avuto una disoccupazione quasi record e un deficit senza precedenti. Erano tre anni che non approvavamo un budget. Benjamin Netanyahu non era riuscito a formare un governo e mancavano solo pochi giorni a un’altra tornata elettorale e al caos in piena regola. […] Un’inesorabile campagna di propaganda condotta dall’opposizione sui social e sui media tradizionali ha cercato di spezzare me e il mio partito, Yamina. La pressione ha funzionato e pochi giorni prima del voto critico un membro del mio partito è scappato. Di conseguenza, eravamo ridotti al minimo indispensabile per formare un nuovo governo.

Da qui la decisione di aprire a una coalizione più ampia, diventando il Primo Ministro del governo più diversificato nella storia di Israele: destra, sinistra, religiosi, laici, ebrei, arabi. Tutti insieme. Rivendica i successi di tale compagine – quali un bilancio ricco di riforme, l’aver riportato al lavoro centinaia di migliaia di israeliani, ridotto quasi a zero il disavanzo che era in aumento – e il modo che l’ha reso possibile.

“Circa il 70% degli israeliani è d’accordo sul 70% delle questioni. Tutti d’accordo sul fatto che abbiamo bisogno di treni e strade migliori, migliore istruzione, maggiore sicurezza e di un costo della vita inferiore. Tuttavia, non siamo d’accordo sul conflitto israelo-palestinese, sulla religione, sullo stato e sul sistema legale ideale. Quindi il mio governo si è concentrato sull’ottenere il 70% invece di litigare all’infinito sulle questioni su cui non saremmo stati d’accordo.” 

Lo ha definito un governo di buona volontà, che non ha insistito per la sovranità israeliana sui Territori né li ha consegnati ai Palestinesi, che ha evitato di legiferare su questioni religiose o legali controverse. 

Abbiamo dimostrato a noi stessi e a quelli al di fuori della nostra coalizione che persone con opinioni politiche radicalmente diverse possono lavorare bene insieme. Il mondo è più polarizzato che mai. Il modello che abbiamo presentato è stato quello della cooperazione e dell’unità: trascendere la tua tribù per il bene della tua nazione.”

Racconta come ha superato la barriera che divide ebrei e arabi attraverso l’incontro personale con Mansour Abbas, leader di spicco della coalizione di sigle politiche arabe.

La prima volta che l’ho incontrato è stato durante le settimane precedenti la formazione del governo. Prima avevo un’opinione negativa di lui. Pensavo sostenesse il terrorismo. Ho sentito da molti che questo non era vero e mi dissero che stava davvero cercando di creare un modello pragmatico per gli arabi israeliani. L’ho chiamato e l’ho invitato a un incontro. […] “In quale appartamento segreto dovremmo incontrarci?” [ndr. d’abitudine i politici incontrano di nascosto quelli arabi] “Ci incontreremo apertamente nel mio ufficio alla Knesset, non sei di seconda classe. Non mi vergogno di incontrarti”.  Ho scoperto un leader coraggioso, più o meno della mia età che si è rivelato essere una specie di mensch [ndr.  persona di forza e onore]. Siamo entrambi uomini di fede e abbiamo rapidamente concordato che qualunque disaccordo teologico possa esistere tra ebraismo e islam, avremmo lasciato che se ne occupasse Dio. “Lavoreremo insieme qui e ora per fornire una migliore istruzione, posti di lavoro migliori e strade più sicure per israeliani e arabi.”

Ma un parte del paese non voluto infrangere la barriera, il governo si è venuto a trovare in grave difficoltà dopo un anno, come raccontato in questo blog nell’articolo  Giorni cruciali per il governo Bennett.
I parlamentari arabi vennero chiamati traditori nelle loro città d’origine, lo stesso per i membri di Yamina nelle loro comunità. Gruppi organizzati allestivano tende presso le case di questi parlamentari molestandone le famiglie per mesi, bollandole come sostenitrici del terrorismo; i congiunti dei parlamentari ricevevano minacce di perdere il lavoro e i figli venivano minacciati a scuola. Degli attacchi perpetrati dai Palestinesi si è attribuita la colpa proprio alla presenza al governo del partito arabo Ra’am.
Di conseguenza Mansour Abbas tolse il sostegno al governo e fu l’inizio della frana: anche un altro parlamentare arabo del partito Meretz si dimise e defezioni avvennero anche in Yamina.

Finiva così il 36° governo israeliano, il governo di buona volontà.
Bennett chiude l’articolo con un rammarico: non aver saputo controbattere efficacemente  l’enorme mole di disinformazione e il settarismo. Da ciò il suo monito: 

“In Israele si sta ora formando un nuovo governo e spero che i suoi leader capiscano che la sfida più grande è tenere insieme tutte le parti della società israeliana.”

Maria Carla Canta