Abdel Fattah Younes, da quarant’anni vicino al suo colonnello,

 e capo delle forze di sicurezza di Gheddafi ad un certo momento, vero colpo di teatro, abbandona Tripoli e sposa la causa dei ribelli, diventando il capo militare delle forze del TNC – o  CNT,  Consiglio Nazionale Transitorio – che ha sede a Bengasi.

La settimana scorsa lanci di agenzia lo danno morto in qualche operazione militare ma Younes ricompare. Passano alcuni giorni e ieri, 28 luglio, si diffonde la notizia del suo arresto e dell’interrogatorio cui è sottoposto per rispondere all’accusa di traffico di armi con il regime di Tripoli.

Un certo stupore era lecito, anche in considerazione del fatto che alla vigilia il CNT era stato riconosciuto anche dalla Gran Bretagna come rappresentante ufficiale di (tutto!!!!!) il popolo libico.  Il che ha in pratica tre  conseguenze: i fondi libici bloccati nelle banche dell’Occidente potranno  (in teoria?) diventare di proprietà del CNT; il  CNT d’ora in poi avrà, volendo, la facoltà di chiedere alla Nato un intervento militare a terra; le vendite di petrolio all’estero, poiché i pozzi sono nella zona sotto il controllo dei ribelli, diventano legittime.

Meno stupore, anzi una sensazione spiacevole di dejà vue  questa mattina alla notizia che il generale Younus è stato ucciso da un non meglio precisato commando armato, insieme ai due ufficiali che lo accompagnavano, mentre era in viaggio alla volta di Bengasi per rispondere delle accuse.  per l’aggiornamento al 31 LUGLIO leggere il seguito


L’ha annunciato con  parole accorate e accurate  Mustafa Abdel Jalil, capo del CNT in conferenza stampa:

“With all sadness, I inform you of the passing of Abdel Fatah Younes, the commander-in-chief of our rebel forces.”

Dalle news di Sky, risulta che i giornalisti hanno chiesto se Younus è stato ucciso proprio dalle forze ribelli.  Il serafico Jalil ha risposto :

“I ask you to refrain from paying attention to the rumours that Gaddafi’s forces are trying to spread within our ranks.”

Dovremmo credere, dunque, che i media dei paesi occidentali che fanno parte della coalizione starebbero diffondendo notizie tendenziose che favoriscono proprio Gheddafi? Sembra a me che da qualche tempo, invece, anche i grandi media sono a dir poco seccati dalla comunicazione casuale, fantasiosa, inattendibile del CNT, e riportano che all’interno di quest’organismo si delineano sempre più le divisioni e le fazioni.

Il serafico Jalil si è anche rifiutato di comunicare il nome dei colpevoli e ha comunicato che “si stanno ancora cercando i corpi dei tre ufficiali uccisi.
Ecco allora il titolo  “Fears of tribal violence as top Libya rebel killed” , per esempio su
http://www.smh.com.au/world/fears-of-tribal-violence-as-top-libya-rebel-killed-20110729-1i4ae.html

§§§

Quello che stupisce me sono proprio i giornalisti che … si stupiscono ora di ciò che poteva essere compreso mesi fa senza un grande sforzo intellettuale.

In Libia non era in corso nessuna sollevazione popolare, ma il tentativo di secessione di una parte del paese, con la popolazione in piazza sulla base di autentiche ragioni di protesta, ma che subito è stata tacitata e volta verso l’obiettivo rivoluzionario: arriveremo a Tripoli e rovesceremo il governo. Chi ha provocato questa svolta ormai si sa via via che si viene a conoscenza che i “ribelli” avevano ricevuto da tempo armi ed addestramento militare.

Non sono un osservatore specializzato tuttavia commentavo la situazione che stava vendendosi a creare  con valutazioni opposte a quelle che propinavano la grande stampa e la rete.
Ecco da  uno dei miei commenti in  Cor-pus, nel post  mcc43.tunisia apripista delle rivoluzioni arabe  del 22 febbraio, cinque giorni dopo “la giornata della collera “ che ha inaugurato le manifestazioni contro Gheddafi:

I titoli per colpire l’immaginazione aggiustano i resoconti per sostenere delle tesi. In Libia è in atto una secessione della parte est del paese, non una rivoluzione. Una secessione dai capi tribù da sempre ostili al governo di Tripoli, ed il grido ripetuto dai manifestanti è la tradizionale giaculatoria islamica, mentre a Derna un leader islamico, Abdel Hakim al-Hisadi, ha proclamato l’emirato islamico indipendente in città’”.

Che Gheddafi se ne debba andare, portando con sé le sue fiale di botolino e le forzute virago che gli fanno da guardia del corpo è più che vero. E’ necessario da decenni; ma se ciò dovesse avvenire sull’onda di questi moti scoppiati per l’arresto di un avvocato di Bengasi, sarebbe a causa della secessione di una regione, un evento che certo la democratica Spagna non permetterebbe facilmente alla regione Basca, tanto per fare un esempio.

Non c’è stato in Tunisia e in Egitto alcun rovesciamento di regime, nessuna rivoluzione per intendersi, ma un gattopardesco cambiamento della fatiscente facciata. Però in quelle nazioni un problema non l’hanno: secessioni in atto.
In Libia il sistema dei consigli “popolari” è una denominazione in luogo di “tribali”. E le tribù non svaniscono nemmeno dando la grande pedata a Gheddafi. E poi? Rischio bello grosso di guerra civile e perché no: intervento internazionale.


Proprio dalla Gran Bretagna cominciano ora a nascere dubbi simili : http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/africaandindianocean/libya/8668587/Dont-just-recognise-the-Libyan-rebels-arm-them.html e a trattarne non è un tizio qualsiasi ma Sir Malcolm Rifkind MP,  chairman of the Intelligence and Security Committee and a former foreign secretary. E’ particolarmente interessante quando ricorda la critica che si fa sempre più pressante :

perché dura così tanto questa campagna, nonostante la formidabile potenza delle forze aeree Nato?

Una delle risposte date: non si sa chi prenderebbe il posto di Gheddafi, forse qualcuno ancora peggio.
Da parte mia  ho sempre temuto che lo scopo dell’intervento, dovesse fallire come finora è accaduto il tentativo di assassinarlo, sia quello di dividere la Libia. Ipotesi fieramente avversata, a parole, dai senior del CNT e causa di profondo dolore ai libici che supportano i ribelli.
Ma non è una fantasia. Ho scoperto questo documento di Mahdi Darius Nazemroaya,  sociologo e specialista di strategie geopolitche, che supporta tale ipotesi, inquadrandola in un progetto di antica data della Nato

“There have been longstanding designs for dividing Libya that go back to 1943 and 1951. “

  http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=25637

L’articolo non è ancora tradotto in italiano, conviene leggere almeno il paragrafo Dividing Libya, destroing the nation state,

“Quello che sta accadendo in Libia è un processo insidioso. L’obiettivo nascosto è creare divisioni nella società libica. La guerra crea una situazione nella quale il CNT è sempre progressivamente dipendente dal blocco US-Nato. Questa la ragione per la quale la NATO ha deliberatamente prolungato la Guerra e ridotto il suo supporto ai ribelli sul campo.”

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E’ vero che nessuno di noi può far nulla per contrastare questa strategia  internazionale che vede proseguire in forme diverse il colonialismo, ma c’è una profonda differenza fra credere alle versioni ufficiali e cercare le motivazioni non dette.

Esattamente come nella vita individuale fa differenza saltellare dai ricordi del passato a un futuro che li ripeterà, invece di restare attenti alle situazioni del presente.
Considerazioni su questa tendenza sempre più evidente oggi  nel post
https://mcc43.wordpress.com/2011/07/09/linsostenibile-latitanza-dal-presente-2/

AGGIORNAMENTO AL 30 LUGLIO

Da misteriosa, la situazione si fa  confusa. Ieri il  capo del  CNT aveva accusato le truppe lealiste dell’assassinio durante lo spostamento di Younes a Bengasi, assicurando che il colpevole era stato arrestato.
Il ministro del petrolio Alì Tarhouni  oggi lo ha smentito: Younis sarebbe stato ucciso da elementi islamisti del campo dei ribelli. (Anche là fa comodo parlare di terrorismo islamico?) Ci sarebbe la confessione di un comandante militare, secondo il quale sarebbero stati dei suoi  subordinati, i quali però sono ancora  latitanti.

Ma è un giallo anche “dove” è stato ucciso il comandante Younes, visto che una stazione radio dei ribelli parla di uccisione nell’hotel dove era alloggiato.

Conclusione più che logica del Gardian: http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/jul/29/libya-divided-fall-editorial

Due tendenze sono evidenti. Il destino della coalizione franco-britannica è legata intimamente a quella dell’esercito ribelle. E le prospettive di una soluzione negoziata (nota = quella a cui ormai è evidente punta la Nato)  sono più lontane che mai. Il problema di questa strategia è non solo che si è allontanata dalla risoluzione originale delle Nazioni Unite. Peggio ancora, i sostenitori dei ribelli sanno contro chi combattono, ma devono ancora capire per chi combattono.

AGGIORNAMENTO AL 31 LUGLIO

L’Italia paga pegno:

L’inchiesta della magistratura sarda sul mistero dei missili e delle armi scomparse dalla Maddalena su cui il governo ha apposto il segreto di Stato, rappresenta la conferma dello scoop di Globalist sulle spedizioni di materiale bellico che il governo italiano ha fatto ai ribelli libici fin da inizio marzo. Infatti la scomparsa di quel materiale riguarda proprio la Libia e non altro.

Oggi siamo in grado di rivelare il retroscena politico che ha portato a questa operazione: nell’ultima parte del mese di febbraio, quando la posizione del governo Berlusconi (in questo appoggiato dalla Lega) di continuare ad appoggiare Gheddafi era diventata insostenibile, il ministro Frattini e il sottosegretario Gianni Letta, sono riusciti a organizzare una operazione congiunta con l’ambasciatore libico a Roma, il potentissimo Abdulhafed Gaddur, che nel frattempo aveva annunciato di aver abbandonato Gheddafi per schierarsi con gli insorti.
Gaddur si è fatto garante di un accordo con Mustafa Abdel Jalil, ex ministro della giustizia di Gheddafi diventato presidente del Consiglio Nazionale di Transizione libico.
Il “prezzo” da pagare per dimostrare il vero cambio di campo da parte del governo Berlusconi erano diversi aiuti. Tra cui una sostanziosa fornitura di armi di cui gli insorti avevano grandi necessità.
Nel “pacchetto” ci sarebbero state anche garanzie personali ed economiche a favore di alcuni alti papaveri degli insorti. Ma di questo, semmai, se ne parlerà un’altra volta.
Fatto sta che a inizio marzo un primo carico di armi è arivato a Bengasi con la nave Libra della Marina Militare. Ma le consegne sono state diverse. Su una di queste è stata aperta l’inchiesta della magistratura che ha consentito di confermare quello che già era stato scritto
. da  http://www.globalist.ch/Detail_News_Display?ID=1353&typeb=0

Dunque l’Italia ha violato l’embargo di armi alla Libia, ha stracciato un accordo di amicizia da poco siglato, ha  accettato un ricatto del CNT per provare la sua nuova “lealtà” agli insorti.

Eravamo nella posizione di appoggiare l’Unione africana e la proposta Chavez di avviare immediate trattative, invece abbiamo fatto i voltagabbana come il solito. Se alle trattative si arriverà, il nostro paese sarà in ogni caso candidato alle briciole alla stima internazionale.  Certo possiamo ringraziare il solito Berlusconi, ma del vecchio e saggio Napolitano che si deve pensare? Non saggio, questo è certo.