Ci sono molte ragioni che spiegano l’emergere e il dilagare dell’Isis, tutte chiaramente esposte nell’articolo Il Jihadismo: il frutto di una lunga manipolazione socio-culturale e di una propaganda dell’odio. Migliaia di giovani hanno dato un calcio al nostro eldorado e sono andati a mettere in gioco la loro vita nelle file dell’Isis. Inconcepibile per noi, disposti a tutto pur di vivere un giorno di più, l’idea che un ragazzo scelga come orizzonte il “martirio”.
Perché questo accade lo spiega nell’articolo lo scrittore anglo-pachistano Hanif Kureishi e nel farlo sfiora quella che, a mio modo di vedere, è la “madre” di tutte le motivazioni. Quella che ha consentito che tutte le propagande attecchissero e tutte le trame d’intelligence avessero successo: la presunzione del nostro mondo: così laico, moderno, acculturato. La presunzione che non si consente dubbi sulla propria superiorità.
Kureishi prova a incamminarsi nell’autocritica:
“Forse bisognerebbe chiedersi che cosa “non” gli abbiamo fatto e che cosa non siamo stati capaci di dirgli, di insegnarli. Certo, sono cresciuti in mezzo a noi. O più precisamente, di fianco a noi: in genere in quartieri, famiglie, ambienti più poveri rispetto all’establishment nazionale. Quali modelli e quali ideali offre loro la società occidentale? Il consumismo, la commercializzazione, la ricchezza come valore in sé, la fama da conquistare a colpi di reality show. ” Questi giovani, egli aggiunge, credono in qualcosa che a essi sembra un ideale nobile e puro, e la religione islamica offre loro un modello alternativo.
E’ vero che la sete di ideali muove i giovani perché la, tanto dimenticata, Natura affida loro il compito del rinnovamento, ma i canali in cui questo si esprime cambiano con il tempo.
Che cosa fu l’esplosione del ’68 se non un’urgenza sociale, politica e anche spirituale? La nostra società del vuoto e dell’apparenza è il fallimento delle proposte di quella rivoluzione.
Oggi, a discendere, la rivolta non avviene più attraverso una proposta rivolta a noi, bensì prendendo la via della fuga: “meglio morire che vivere così”. Aleggia da molto tempo sulle nostre società un istinto di morte che ostinatamente ignoriamo nella sua manifestazione più terrificante: il suicidio è la prima causa dei decessi degli adolescenti. Lo dicono le statistiche – che in altri campi seguiamo pedissequamente – ma nulla accade, perché questa società finge di poter fare a meno dei pensatori, ignora la filosofia, l’antropologia, la psicologia.
Del reclutamento Isis o Al Nusra sottolineo un aspetto trascurato perché si tende a limitare le ragioni al richiamo esercitato dall’Islam, foriero di sospetti su questa religione: ad accorrere sono in gran parte cittadini di seconda generazione, figli di immigrati arabo-islamici, e la loro fuga è anche un confuso ritorno a un’origine immaginata, un sogno da realizzare. Per alcuni può perfino essere una rivalsa famigliare.
La storia del rapper londinese L-Jinny, Abdel-Majed Abdel Bary, combattente in Siria e là forse rimasto ucciso, è emblematica. La famiglia aveva ottenuto asilo politico in Gran Bretagna dopo l’incarceramento e le torture subite in Egitto dal padre sospettato, evidentemente a torto poiché fu rilasciato, d’essere islamista; ma nel 2012 il governo inglese lo consegna alle autorità degli Stati Uniti per “sospetti legami” con AlQaeda. Là si trova tuttora senza processo.
Predicare i diritti umani e non praticarli è un grande incentivo alla critica e al rifiuto della nostra civiltà, ma Kureishi non si spinge abbastanza avanti da riconoscere che la civiltà occidentale deve cambiare prima di tutto in se stessa e per se stessa; è insufficiente riconoscere qua e là un errore, sociale o geopolitico, commesso verso gli arabi e la cultura islamica. Occorre scendere dal piedistallo.
Un altro passo dell’importante articolo di Lorenzo Piersantelli dà voce a Thierry Meyssan. Alla domanda “Che fare?” Meyssan conclude:
“Infine, sostenere il presidente Obama nei confronti di coloro -come il senatore John McCain che, anche all’interno della propria amministrazione, organizzano e finanziano le manipolazioni mentali degli jihadisti.”
McCain sostiene gli interessi dell’establishment americano tanto quanto il presidente! Nel “gioco di ruolo” l’uno finanzia ciò che l’altro andrà a colpire.
Oggi, 25 novembre, gli aerei della Coalizione dei 33 stati anti-Isis [ved. nota 1] hanno bombardato Raqqa, la cosiddetta capitale dello Stato Islamico. A un primo calcolo: 60 morti.
Come si può vedere nel video in fondo a questo articolo, i corpi giacciono in una strada cittadina. Non è stato centrato un arsenale, non è stato colpita una sala di riunione di capi jihadisti. Sono stati trucidati dei passanti, gente come noi ma con una imbarazzante differenza, per le coscienze deste: quella gente subisce sia il governo dell’Isis sia i bombardamenti della coalizione, mentre noi apparteniamo ai paesi che danno corso ai raid aerei per “la nostra sicurezza”.
Nella vecchia Europa, David Cameron – inerte verso i cittadini britannici nelle mani dell’Isis come il giornalista John Cantlie – dà al corpo special SAS l‘ordine di uccidere i cittadini britannici trovati a combattere nelle file jihadiste.
C’è molta strada da fare prima di disseccare la linfa che tiene viva l’Isis dei “tagliagole”.
Tragedia nella tragedia: siamo lontano dall’imboccare il percorso del nostro cambiamento. Certamente prima o poi, 1.000 o 10.000 morti in più o in meno, sul terreno il Califfato verrà sconfitto, ma le ragioni della rivolta saranno ancora più forti.
Già dovremmo porci la questione di come rapportarci a un Medio Oriente che ne uscirà distrutto, regredito di cinquant’anni, con dei giovani che non avranno conosciuto altro che sangue, violenza, odio, paura e voglia di rivalsa, masse che non avranno avuto una scolarizzazione regolare, nessuna preparazione al lavoro, nessuna conoscenza dei rapporti sociali di pacifica convivenze.
Si stanno alacremente tessendo i nodi che i nostri figli e nipoti dovranno sciogliere.
Raqqa, 25 novembre
Il racconto “neutro” dei media
nota 1 = alcune fonti dicono che è stata l’aviazione siriana, probabilmente per addossare solamente ad Assad l’eccidio, tuttavia questo articolo del giorno precedente dichiara che la coalizione effettua bombardamenti su Raqqa – 2 Near Raqqah, two airstrikes struck an ISIL headquarters building. – See more at: http://www.netnewsledger.com/2014/11/24/coalition-air-strikes-in-syria-and-iraq-continue/#sthash.KofFxVU4.dpuf” ]
Mi sa che ci siamo persi.
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Grazie della citazione.
Effettivamente le tristemente note situazioni di marginalità sempre più evidenti in una società così globalizzata trovano nell’adesione a certe organizzazione un motivo di violento e rabbioso riscatto. Ed un’assente prevenzione non fa altro che esasperare ed incrementare questo drammatico e pericoloso, per non dire letale, fenomeno.
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Grazie a te, anche per essere sempre molto tempestivo nella scelta dell’argomento del giorno.
C’è tanto tanto ritardo, non solo per la non volontà di andare oltre il fenomeno per arrivare alle cause remote. ma anche nel prefigurare il futuro, quasi che liberando Kobane e riconquistando Mosul il più sarà fatto e … vissero felici e contenti. Oltre alla catastrofe umana, che sembra provocare nei più l’interesse di uno spettacolo, senza alcuna capacità o volontà d’immedesimazione, ci saranno i rapporti geopolitici da riorganizzare a Isis sconfitto (se sconfitto sul terreno sarà, visto che nulla può esser dato mai per certo … ) . Grazie della visita e come disse il nativo al capitano Dunbar “Buono scambio!” 🙂
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