mcc43
continua nella parte seconda “Israele e i divorzi infernali“
Sappiamo poco delle dinamiche sociali dello stato di Israele e del rapporto che intrattiene con la cittadinanza. Forse non ce ne curiamo. Attribuiamo a quella realtà così diversa le stesse modalità del nostro paese, tanto è radicata la convinzione che “Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente”. Capita, tuttavia, che si aprano squarci che rivelano meccanismi insospettati e desolanti. Il sistema dei servizi sociali e della politica per la famiglia è uno di questi ed è l’argomento di un articolo che si compone di due parti.
Questa prima parte riguarda i bambini, la seconda si occuperà della coppia: il divorzio, che necessita di autorizzazione del Tribunale religioso, i pesi economici che gravano sul marito, l’impossibilità di espatriare.
Bambini sottratti a famiglie in difficoltà
Come nella gran parte dei paesi, i servizi sociali hanno il compito di occuparsi delle persone in difficoltà economiche e dei bisogni specifici dell’infanzia. Il sistema israeliano non è statale, anni or sono è stato privatizzato e ora è demandato, sotto le direttive le Ministero degli Affari Sociali, a varie e potenti fondazioni. La retta mensile per ogni bambino assistito corrisponde a 17.000 shekel, pari a 3.800 euro. Secondo i dati del Ministero sono attualmente 80.000 i piccoli ospitati in istituzioni o in nuclei famigliari affidatari, al ritmo annuale di circa 12.000 nuovi allontanamenti dalla famiglia d’appartenenza. Un numero alto che suscita dubbi.
Addentrandosi nella questione si scopre che gli assistenti sociali, Child Protection Officers cui ci riferisce per brevità con la sigla CPOs, godono di un potere decisionale pressoché insindacabile. Quando una famiglia in difficoltà, perché non ha più un tetto sotto cui vivere o le risorse per comprare di che nutrire e vestire il bambino, si rivolge ai servizi si scontra col volto duro dello stato. Il minore viene classificato “a rischio” e immediatamente sottratto alla famiglia.
I Tribunali assecondano le richieste dei CPOs senza dar corso ad alcun accertamento.
Giudici-timbro, vengono chiamati, per la solerzia con cui sanciscono che il figlio deve essere allontanato dal padre e la madre.
Lo zelo dei CPOs sfiora l’atteggiamento persecutorio e può accadere che venga gonfiata la gravità delle situazioni con accuse nei confronti dei genitori, come possesso di droghe o maltrattamenti, senza che sia prevista un’audizione processuale nella quale essi possano confutare e dimostrare di essere adeguati al loro compito.
Paradossalmente, se prima il bambino non era concretamente a rischio, lo diventa dal momento in cui viene strappato, improvvisamente e fra le lacrime, alla sua famiglia. L’esperienza è traumatizzante, il futuro si presenta senza figure che diano al bambino la percezione di essere protetto. Non ha a chi rivolgersi per chiedere aiuto nel caso degli immaginabili rischi di angherie, abusi, continuati trattamenti farmacologici sedativi. Perdurando l’affidamento, il minore sviluppa spesso turbe psicologiche e quando, altrettanto bruscamente, verrà riconsegnato alla società troverà aperta una sola porta: l’arruolamento nelle forze armate israeliane.
E’ una scoperta che risponde alla domanda posta più volte scrivendo di questioni israeliane, in particolare nel post ” Come addestra i soldati Israele per renderli così?” sulle incredibili angherie cui essi sottopongono i Palestinesi. Qualunque sia la forma di addestramento o gli ordini ricevuti, i militari che provengono da questo tipo di vissuto saranno gravati da sofferenze, rabbia, desiderio di rivalsa per i quali gli indifesi lavoratori, donne, vecchi, ragazzi palestinesi transitanti ai check-point saranno un comodo capro espiatorio.
L’intervento dei CPOs può avvenire anche su richiesta di terze persone, solitamente dei famigliari che trovano nel loro metodo autoritario e insindacabile un modo per regolare diatribe famigliari. Nel video qui sotto, il caso recente di Hana, cittadina canadese emigrata in Israele. Questo è l’ Aliya: un passo da cui non si torna indietro, è detto nel video.(ndr. per qualche idea sulla complicata legge al riguardo vedere qui) Una volta ottenuto il passaporto israeliano si è come presi in trappola, non si può più uscire. Ma dopo qualche mese, Hanaa si è pentita e ora vuole tornare nel suo paese natale, con i due figli essi pure nati in Canada, e là partorire – tra quattro mesi – il suo terzo bambino.
I suoi genitori, però, si oppongono. Hanno ottenuto un ordine di No Exit: il divieto di lasciare lo stato insieme ai figli. Ribellandosi alla costrizione, Hana ha tentato di partire. E’ stata bloccata in aeroporto (video1). Rifugiatasi in casa di amici, è stata rintracciata: sono intervenuti 15 agenti per terrorizzare una donna incinta e due bambini. Rappresentanti di organizzazioni umanitarie l’hanno rintracciata, l’avvocato l’ha aiutata ad affrontare il lungo interrogatorio alla stazione di polizia, ma il peggio è avvenuto. I bambini le sono stati tolti e affidati “temporaneamente” ai nonni.(video2).
Perché in Israele ciò è legale: non esiste legge che vieti ai servizi sociali l’abuso di separare violentemente i figli da genitori incolpevoli, ed esiste la legge che sembra fatta apposta per impedire al ritornato nella Terra Promessa di andarsene quando lo desidera.
Per tutte queste notizie, sono debitrice a Marianne Azizi, cittadina britannica che da anni è in lotta con lo stato di Israele per potersi ricongiungere al marito, “intrappolato” nelle spire del tribunale religioso e delle norme statali sulla famiglia. La sua storia sconvolgente sarà argomento della seconda parte di questo articolo.
….guarda…è terribile è inumano!
Non mi sono mai fermata a riflette su questo…pensavo che li non esistessero i servizi sociali..meno che mai con simili atteggiamenti!
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Ciao Marta, sono rimasta di sasso quando ho saputo queste cose.Tengono così preziose le loro vite ma non le trattano bene, e questa durezza con quelli che rappresentano il loro futuro spiega tanti atteggiamenti con i figli di altri popoli. Sto preparando la seconda parte e … vedrai.
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Grazie…sempre, per queste informazioni.
Un caro saluto e a leggerti presto!
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L’ha ribloggato su News of the World.
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Grazie. Ho conosciuto così il tuo sito. Molto ricco di informazioni e attualità
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Grazie a te. Articolo molto interessante. Si parla sempre troppo poco delle descriminazioni che subiscono i bambini israeliani. A presto.
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in base a cosa possono impedire a qualcuno di ritornare nel proprio paese natale, se ne possiede il passaporto?….. mi sembra un po’ strano….
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Strano, sì, bisogna informarsi sulle regole della Aliya; oppure ascoltare bene quello che dice l’operatore israeliano come voce fuori campo nel primo video di Hana.
Trovo che l’irrevocabilità della scelta di ritornare nella terra promessa secondo le regole della Aliya non sia da condannare di per sè, – ogni comunità può darsi le regole che vuole – ma lo è se ciò non era stato spiegato molto bene in anticipo.
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so di molte persone che hanno fatto alya e poi per un motivo o per un altro sono tornate nel loro paese…..
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Molto interessante. Ci sono quindi delle specifiche situazioni. Nei casi a lei noti erano coinvolti dei minori?
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non saprei. credo però che nel momento in cui siano coinvolti dei minori ci voglia la volontà di entrambi I genitori per poter ritornare indietro.
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scusami ma non mi sembra corretto che tu scriva che una volta fatta alya non puoi più tornare indietro. il caso che tu mostri non dipende dal fatto che la donna abbia fatto alya ma dal fatto che essendo coinvolti dei minori lei non può lasciare il paese, tristi storie che succedono in tutte le parte del mondo quando I genitori non vanno d’accordo e ci sono di mezzo i figli.
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La frase poggia sulla affermazione molto chiara della voce del video al minuto 1,34 – Se una fonte competente la smentirà, sarò felice di spiegare la questione diversamente.
E come avrai visto qui non c’entrano due coniugi in dissenso ma i genitori di Hana le cui eccezioni, di nonni, prevalgono sui diritti della madre. Domani ci sarà una udienza, non mi è ancora chiaro in quale tipo di tribunale, dove sarà assistita da un avvocato procuratole da terze persone, nella quale cercherà di riavere i suoi bambini.
Grazie comunque per le tue obiezioni e contributi.
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non conosco la storia ma se dici che sono I suoi genirori a impedirle di ritornare indietro non puoi dire che è l’alya . sono I suoi genitori con cui probabilmente lei ha dei problemi che, come nonni, le impediscono di uscire. questo tipo di situazioni esistono anche in italia. come già ti hoscritto so di gente che ha fatto alya e poi per motivi loro hanno deciso di tornare indietro e nessuno glielo ha impedito. la voce dice che non può andare ma non il perchè. forse non ha più il passaporto canadese? forse perchè I suoi vivono in israele e non vogliono farla uscire per via dei bambini? come già ti ho scritto l’alya non t’impedisce di tornare indietro ameno che tu non abbia più la cittadinanza di quel paese e ciò non dipende da israele ma dal paese in questione ovvero se questo concede la doppia cittadinaza. per esempio l’italia la concede. l’olanda no. il Canada non so .
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Penso che dovresti mettere queste obiezioni sotto il video in YouTube, così potremmo avere un chiarimento sulla frase perentoria che viene pronunciata, e che ha un senso generale. Probabilmente come è faticoso e complesso fare Aliyah, potrebbe esserlo altrettanto rinunciare. La burocrazia può essere peggio di una catena.
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il fatto che una voce in un video dica che lei non può più uscire non significa che questa sia una fonte autorevole. lo scrivi anche tu che lei non può più uscire per via di un impedimento che le è stato fatto dai suoi genitori. cosa centra l’alya? e poi scusa, allora nessun cittadino israeliano potrebbe andare a vivere all’estero secondo questo ragionamento? qui si tratta di una diatriba familiare . l’alya non centra proprio niente.
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Nessuno stato scriverà mai a chiare lettere “sei mio per sempre”, Per esempio sei libero di chiedere di rinunciare alla cittadinanza però ” Nota bene: la decisione di autorizzare la rinuncia alla cittadinanza è a sola discrezione del Ministero dell’Interno o di un qualsiasi suo incaricato. Fin tanto che non esiste tale autorizzazione, il richiedente è ancora un cittadino israeliano a tutti gli effetti. È importante tenere presente che vi sono stati casi in cui il Ministero ha ritenuto opportuno, per cause varie, non autorizzare la rinuncia alla cittadinanza.” questo lo dice l’ambasciata d’Israele in Italia http://embassies.gov.il/rome/consular-services/Pages/rinuncia-cittadinanza-israeliana.aspx Ma ci sono varie motivazioni della cittadinanza, e la possibilità di averne due… tutto estremamente complesso.
Ma non mi sembra l’argomento principale dell’articolo. E’ l’invasione nel privato sei servizi sociali protetti dall’autorità giudiziaria che induce a riflettere.
Grazie. aspetto la seconda parte con impazienza,
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mcc43 non perdere tempo con questi troll! Lavorano tutti per il JIDF. Anche in Italia vengono reclutate persone, generalmente ebrei, ma non solo ebrei, per confutare qualunque critica venga mossa contro Israele. E vengono pagati profumatamente. Quello che una persona normale guadagna mensilmente svolgendo un lavoro onesto, loro lo ricevono farneticando su internet.
Ho una discreta conoscenza del fenomeno avendo avuto a che fare in passato con molti di essi.
Non ti curar di loro, guarda e passa.
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😉 un pensierino l’avevo avuto
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guarda veramente non sono pagata proprio da nessuno , scrivo quello che voglio in completa libertà senza dipendere da nessuno. se vi piace scrivere menzogne contenti voi!!!!!!
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“………. E’ l’invasione nel privato sei servizi sociali protetti dall’autorità giudiziaria che induce a riflettere.” Così parlò 1mariposa. In realtà certe spiacevoli vicende accadono anche in Italia, come se ne è spesso occupato la rubrica di Rai3 “Chi la visto”. Servizi sociali e Autorità Giudiziaria, in Italia, a volte sanno accanirsi con forza, in tristi storie che la cronaca ha spesso messo in luce.
Il resto dei discorsi sono solo il frutto della propaganda filo-palestinese e terzomondista in servizio permanente effettivo. Roba vecchia, nulla di nuovo.
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Grazie del commento. I casi spiacevoli accadono, e sono diversi dai casi sistemici. Sui palestinesi nell’articolo c’è solo un inciso sulle pratiche subite dai soldati, sono cose note, denunciate anche dai membri dell’esercito come certo saprà, o può vedere in questo blog.
Detto questo vorrei precisare ciò che forse in un mondo che schematizza “buoni e cattivi” non appare evidente. Mi rammarico, mi spiace, mi preoccupo per le conseguenze sulla popolazione israeliana indotta dalla sua classe politica, che non vuole risolvere attraverso la diplomazia la tragica situazione dei due popoli , a sentirsi ancora e sempre perseguitata.
Che in realtà Israele sia uno stato straordinariamente potente e sostenuto internazionalmente non va a vantaggio ma a svantaggio della vita del comune cittadino israeliano. E’ un drammatico paradosso.
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